Niki de Saint Phalle
“Non appena iniziai a lavorare sul Giardino dei Tarocchi mi resi conto di essermi messa in un percorso arduo e pieno di difficoltà. Un attacco di ARTRITE REUMATOIDE mi impedì per un lungo periodo di usare le mani e di camminare. Ma andai avanti lo stesso. Nulla poteva fermarmi. Ero come stregata. Sentivo che nonostante le difficoltà era mio destino creare questo giardino”

Sono parole di Catherine Marie-Agnes Fal de Saint Phalle, nata in Francia nel 1930 e morta negli Stati Uniti nel 2002.  Ancora bambina si trasferisce con la famiglia a New York dove frequenta le scuole ma continua a mantenere intensi rapporti con la madrepatria passando le vacanze estive dai nonni presso il castello di Filerval. La doppia nazionalità contribuisce a farne una donna emancipata, cosmopolita, poliglotta e con molte frequentazioni internazionali. Nel 1952 torna a Parigi e decide di dedicarsi completamente alla sua vocazione artistica scoprendo nella pittura e nella scultura la terapia più efficace ai propri malanni fisici e psicologici, la via per affrontare le difficoltà ed avvicinarsi alla pace interiore.

Il Giardino dei Tarocchi, al quale Niki lavora per molti anni dal ’79 al ’98, è il suo capolavoro e la realizzazione di un grande sogno iniziato a Barcellona quando visita per la prima volta il Parque Guell di Gaudì, dal quale resta letteralmente folgorata.

In collaborazione con il secondo marito Jean Tinguely, su un terreno donatole dalla famiglia Caracciolo vicino a Capalbio in Toscana, costruisce un parco tematico ispirato agli Arcani Maggiori con ventidue sculture monumentali di cemento armato e ricoperte di mosaici in specchio, vetro pregiato e ceramiche. Tra le carte rappresentate, curate fin nei più minimi dettagli, quella dell’Imperatrice, a forma di sfinge, è particolarmente monumentale. All’interno vi si trovano un salotto, un bagno e una stanza da letto dove l’autrice ha realmente abitato, tale era il suo bisogno di immergersi nel luogo e nell’opera che andava plasmando.

All’artista franco-americana, il Gran Palais di Parigi nel 2015 ha dedicato un’importante retrospettiva con quasi duecento pezzi molti dei quali inediti. In un salone si potevano ammirare le famose “Nanas” (ragazze in slang francese), figure femminili gigantesche, luminose e colorate grazie alle quali S. P. raggiunge la popolarità conquistando le piazze di alcune città europee; in un’altra sala erano esposte le “Mariées”, spose lugubri e gli “Accouchements”, donnoni che partoriscono bambole, aeroplani, uccelli ed altri oggetti di plastica. Da ricordare anche i “Tirs”, colate di vernice su tele bianche ottenute sparando su bombolette di colore con una carabina, esempi di “action painting” alla Pollock che negli anni ’60 la rendono un personaggio molto mediatizzato anche se, forse, poco compreso.

E poi come non ricordare la fontana Stravinsky, fotografata ogni anno da milioni di turisti, realizzata nel 1983 sulla piazza dietro il Centre Pompidou, che rappresenta un omaggio alla vita del compositore russo e un luogo particolarmente apprezzato dai bambini di tutto il mondo che amano osservare i movimenti delle sedici sculture, vivacemente colorate e dotate di un motorino elettrico.

Ciò che occorre sottolineare, oltre al suo innegabile spessore artistico, è anche la capacità di questa donna, eccentrica ed anticonformista, di utilizzare l’arte per combattere la sofferenza personale e degli altri. Durante la sua esistenza ha lottato per i diritti delle donne, contro ogni razzismo e, tra l’altro, ha partecipato attivamente alle campagne di prevenzione e cura dell’AIDS.

Scrive: “Ho deciso presto di essere un’eroina. L’importante è che la causa fosse difficile, grande, eccitante”. Esattamente come le sue opere, spesso stupefacenti e bizzarre, che suscitano tutt’oggi grande interesse e ammirazione presso il pubblico più eterogeneo.

Il SITO INFORMATIVO SULLE MALATTIE REUMATICHE è promosso dall'Associazione HEMOVE ONLUS

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