Giuseppe Garibaldi
Ancora ci si interroga su quanti fossero i Mille, come in seguito vennero chiamati, pare 1088 più una sola donna, Rosalia Montmasson, moglie di Crispi. Fra di loro, in maggioranza intellettuali borghesi di provenienza lombarda, l’avventuroso giornalista francese Maxime du Camp, il giovane poeta sconosciuto Ippolito Nievo e i figli di padri illustri, Menotti Garibaldi e Giorgio Manin.

Il Generale, quando si fece la conta, rimase sorpreso: “Quanta gente!” disse e salpò da Quarto il 5 maggio 1860 a bordo di due vapori che lo sbarcarono a Marsala. Dopo scontri durissimi, che costarono centinaia fra morti e feriti, ottenne infine il controllo dell’isola, pronto a puntare sulla Calabria e quindi su Napoli. A questo successo Cavour si arrese: “Se domani entrassi in lotta con Garibaldi è probabile che avrei dalla mia la maggioranza dei vecchi diplomatici, ma l’opinione pubblica europea sarebbe contro di me, e con piena ragione perché Egli ha reso all’Italia i più grandi servigi che un uomo potesse renderle: ha dato agli italiani fiducia in se stessi e ha dimostrato all’Europa ch’essi sanno battersi e morire per riconquistarsi una patria.” Inviate al suo ambasciatore a Parigi, sono le parole sincere di uno statista pragmatico che seppe riconoscere i meriti dell’avversario e, nel contempo, incanalarne le energie potenzialmente sovversive traendone i massimi benefici per la monarchia sabauda.

Il comandante della forza militare più travolgente dell’Italia moderna e il personaggio propulsore della sua unità, al quale non v’è paese che non abbia dedicato un monumento, una piazza o almeno una strada, nacque a Nizza il 4 luglio 1807 da una famiglia di tradizione marinara di cui seguì le orme imbarcandosi già sedicenne. Non particolarmente portato per gli studi, le esperienze giovanili più formative sono proprio legate al mare: una spedizione commerciale che lo porta, costeggiando il Tirreno, fino a Roma dove la vista delle rovine amplifica il potere di suggestione della gloriosa storia repubblicana e imperiale; poi la conoscenza, su un bastimento diretto a Costantinopoli, di alcuni discepoli del positivismo sociale del Saint-Simon e, a Taganrog in Crimea, l’incontro casuale con un fervente seguace della ‘Giovine Italia’ di Giuseppe Mazzini. Fu un’autentica rivelazione per un uomo insieme idealista e concreto, che trascorrerà il resto della sua vita a combattere ovunque ci fosse da conquistare libertà e giustizia, così che l’unificazione italiana diventa un momento della redenzione di tutti i popoli.

Accusato di cospirazione e condannato a morte dalle autorità piemontesi (1834), decise di propagandare gli ideali risorgimentali in Sud America, prima come corsaro al servizio della repubblica brasiliana del Rio Grande, in seguito comandando la legione italiana in Uruguay nel conflitto con l’Argentina. Qui l’Eroe dei due mondi, come lo chiameranno gli inglesi, giunse alla notorietà nella battaglia di S. Antonio quando, con pochi uomini mal armati, riuscì a resistere ad un esercito numericamente molto superiore.

Tornato sulla penisola per essere tra i protagonisti dei deludenti moti del ’48, se ne va per breve tempo a New York e in Perù per poi stabilirsi definitivamente sull’isola di Caprera in attesa di quelle nuove opportunità a favore dell’indipendenza italiana che porteranno al celebre incontro di Teano con Vittorio Emanuele II (26 ottobre 1860).

Al rientro dall’esilio sudamericano, il nizzardo porta con sé un’impareggiabile esperienza di guerrigliero, la leggendaria camicia rossa, la fama di incorruttibile nonché un’ ARTRITE REATTIVA che lo avrebbe tormentato per il resto dei suoi giorni e per la quale, all’epoca, non c’erano ancora rimedi efficaci.

Quando il 2 giugno 1882, nella sua amata Caprera, esalò l’ultimo respiro per il riacutizzarsi di una bronchite, il medico che ne esaminò il corpo annota: “…dando uno sguardo alle mani e ai piedi del generale si provava una stretta fortissima al cuore tante e sì gravi erano le deformazioni prodotte dall’artrite. Le falangi superiori delle dita erano rattrappite, contorte, le une si accavallavano alle altre…le articolazioni delle ginocchia, di molto ingrossate, non permettevano quasi più all’illustre vegliardo di piegarsi e le vertebre cervicali anchilosate gli toglievano la possibilità di muovere il collo…”.

Malgrado i dolori, le febbri periodiche e la progressiva disabilità motoria, Garibaldi è sorretto da un inesauribile ottimismo e da un entusiasmo che trascina chiunque gli sia accanto. Dotato di un coraggio leonino che lo spinge ad occupare personalmente la prima linea dei combattimenti, la fiducia negli ideali e in se stesso gli consentirono di cogliere i successi più improbabili.

Portato a braccia dal figlio Menotti, nel 1876 è a Salerno, accolto da bande militari e da una folla letteralmente impazzita; ancora nel 1880 è a Genova e poi, per l’inaugurazione del monumento ai caduti di Mentana, a Milano, dove i cittadini staccano i cavalli dalla carrozza e la trascinano fino al palazzo comunale.

Anche se il suo aspetto esteriore non è più quello di un eroe, e forse non lo fu mai visto che era piuttosto basso e tarchiato, l’intelligenza è immutata, il volto fiero e gli occhi vivacissimi folgorano ogni sguardo incontrato, soprattutto quello delle donne che lo adorano quasi come un dio.

È noto, infatti, che Garibaldi, anche con l’aggravarsi della malattia reumatica, rimase un grande conquistatore di cuori femminili. Tuttavia ce ne fu una che gli giocò un brutto scherzo. La marchesina Giuseppina Raimondi che il Generale conobbe come intrepida messaggera dei patrioti comaschi, la quale, il giorno stesso delle nozze, si rivelò già incinta di uno dei suoi innumerevoli amanti. Ma Garibaldi si riprese presto dalla delusione, in seguito sposò Francesca Armosino e frequentò molte altre donne, ebbe almeno otto figli ma non dimenticò mai la prima, veneratissima moglie, Ana Maria de Jesus Ribeiro, passata al mito con il vezzeggiativo di Anita, stroncata dalla febbre il 4 agosto 1849 nelle valli di Comacchio.

Il più grande amore di un’esistenza che della passione, innanzitutto etica e politica, fece la sua cifra più caratteristica.

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