Straordinario navigatore, è insieme il primo colonizzatore e il promotore involontario di un genocidio, in quell’ambivalenza etica di cui scrive Tzvetan Todorov riconoscendo il ruolo di cesura epocale dell’impresa colombiana: “La storia del globo è fatta di conquiste e di sconfitte, di colonizzazioni e di scoperte dell’altro; ma è proprio la conquista dell’America che annuncia e fonda la nostra attuale identità…nessuna data è più adeguata a contrassegnare l’inizio dell’era moderna dell’anno 1492…” Da allora il suo coraggio è divenuto proverbiale perché, se altri hanno intrapreso viaggi molto difficili, C. ha veramente affrontato l’ignoto e anche se mostrava sicurezza per convincere i potenziali finanziatori, non era affatto certo che all’estremo limite dell’Oceano Atlantico non vi fosse l’abisso senza ritorno.
Durante la navigazione attraverso gli arcipelaghi sconosciuti alla ricerca di terre e oro per la Spagna, egli ha sempre a cuore, sopra ogni altra cosa, l’espansione del cristianesimo; nuove ricchezze e floridi rapporti commerciali, moventi principali della Corona e dei suoi stessi compagni d’avventura, appaiono al futuro ammiraglio come semplici strumenti per realizzare un fine giusto e benedetto: la liberazione del Santo Sepolcro dagli infedeli. In un documento autografo si legge: “Allorché feci i miei primi passi per andare a scoprire le Indie, lo feci con l’intento di supplicare il Re e la Regina affinché volessero spendere per la conquista di Gerusalemme quanto avrebbero potuto ricavare…”
E così, paradossalmente, è proprio la formazione medievale di Colombo, la sua spiritualità religiosa quasi arcaica, a fargli compiere la scoperta che inaugura l’età moderna.
Cristoforo nasce a Genova nel 1451 da una famiglia di tessitori poi, meno che ventenne, si stabilisce a Savona dove comincia a navigare, probabilmente per conto del padre Domenico che vi aveva aperto una taverna e commerciava in vini e formaggi. Abilissimo marinaio, ottiene più volte il comando di flotte mercantili fino a quando si trasferisce in Portogallo, allora il centro di un grande movimento di esplorazioni volto alla ricerca di rotte alternative verso le spezie orientali che giungevano in Europa con difficoltà a causa dell’avanzata turca. Con la prima moglie e il figlio Diego, ritrova a Lisbona il fratello Bartolomeo nella sua bottega di cartografo e qui ha modo di aggiornarsi sulle più recenti teorie geografiche studiando e postillando parecchi libri. In particolare si entusiasma al progetto di attraversamento dell’Atlantico per raggiungere l’India elaborato dal fiorentino Paolo Toscanelli di cui eredita i calcoli errati in base ai quali le distanze erano più brevi del reale. Dopo un rifiuto della monarchia portoghese a finanziare il viaggio, viene introdotto per la prima volta alla presenza di Ferdinando e Isabella di Castiglia il 20 gennaio 1486 ma l’ambiente non è ancora maturo visto il forte impegno nella politica di ‘reconquista’ contro i Mori. Solo sei anni dopo, quando cade anche l’emirato di Granada, il genovese ottiene l’assenso tante volte sollecitato e, firmate le Capitolazioni che avrebbero dovuto garantirne i diritti, con due caravelle e una nave salpa da Palos il 3 agosto 1492.
Com’è noto il 12 ottobre, credendo di aver raggiunto l’Asia, i cristiani sbarcano su un’isola delle Bahamas che l’Ammiraglio ribattezza San Salvador per poi continuare le esplorazioni bordeggiando una parte del litorale nord di Cuba e quindi approdare ad Haiti (Hispaniola). Al ritorno C. riceve un’accoglienza trionfale dai sovrani che si affrettano ad appellarsi al Papa per ottenere una sanzione sacra sul possesso delle nuove terre e quindi sulle future rendite che si immaginavano assai cospicue.
Negli anni successivi compie altri tre viaggi transoceanici durante i quali la sua fortuna si rovescia trovandosi a dover giustificare spese crescenti, il mancato ritrovamento dell’oro nelle quantità sperate, le violenze e la cupidigia dei suoi uomini nonché le ribellioni degli indigeni ridotti in schiavitù. Sino all’ignominia di essere arrestato e ricondotto in catene come un malfattore, difeso e liberato dalla benevolenza della regina Isabella che però non vivrà ancora a lungo.
Accompagnato dal tredicenne figlio Fernando, riprende il mare l’ultima volta nel maggio del 1502, arriva fino alle coste del Sud America in mezzo a furiose tempeste e riesce a tornare solo dopo due anni terribili, incanutito e debolissimo nel corpo anche se non nello spirito.
Scrive al nuovo papa Giulio II per veder ristabilito il proprio onore e riconosciuti i diritti economici ma inutilmente, tanto che morirà senza possedere nemmeno un tetto. Annota Fernando: “…l’Ammiraglio molto provato dalle sue GOTTE e dal dolore di vedersi caduto del suo possesso, aggravandosi anche altri mali, rese l’anima a Dio il giorno 20 di maggio 1506.” Quindi il figlio attribuisce alla gotta la causa principale della morte paterna, diagnosi assai approssimativa che in passato, e fino a tutto il XIX secolo, accomunava impropriamente molte malattie osteo-articolari. In tempi recenti il reumatologo americano Frank Arnett ha sostenuto che Colombo, lontano dallo stereotipo dell’uomo robusto che beve e consuma cibi ricchi, in realtà fosse affetto da artrite in seguito ad un’intossicazione alimentare molto comune a bordo delle navi dell’epoca.
Già al ritorno dalla sua prima spedizione si manifestano i segni della malattia che lo tormenta per lunghi periodi con dolori diffusi, febbri e fastidiosi disturbi agli occhi come egli stesso descrive nel suo diario: “…malgrado nel precedente viaggio io fossi rimasto 33 giorni senza abbandonarmi al sonno e a lungo tempo privo della vista, pure i miei occhi non erano stati ammalati né io avea tanto sofferto dolori così violenti.”
Alla fine degli anni ’80 lo storico della medicina Francisco Guerra ha inquadrato la patologia di C. come una ‘sindrome di Reiter’, un’artrite reattiva caratterizzata da infiammazione articolare dovuta ad infezioni che si originano in altra sede, per cui si ipotizza che il nostro navigatore, oltre che di congiuntivite, soffrisse anche di un’uretrite cronica che non era certo infrequente specie fra la gente di mare.
Ma che riposi nella cattedrale di Siviglia o a Santo Domingo, ciò che importa sottolineare è l’ammirazione universale per la sua inesauribile curiosità e il fiducioso coraggio nell’affrontare l’ignoto dell’oceano e quello della malattia.
La verità è che, per stabilire con certezza di quale malattia reumatica il celebre genovese abbia sofferto, i paleopatologi dovrebbero disporre di resti ben identificati mentre le sue ossa viaggiarono probabilmente di più di quanto egli non avesse fatto in vita, sottratte, aggiunte e mescolate per caso o intenzionalmente, alimentando un autentico giallo che fa ancora discutere.
Il SITO INFORMATIVO SULLE MALATTIE REUMATICHE è promosso dall'Associazione HEMOVE ONLUS