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Sindrome da anticorpi
anti-fosfolipidi

Che cos’è la sindrome da anticorpi antifosfolipidi

La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) è una malattia autoimmune sistemica caratterizzata da fenomeni trombotici (trombosi venosa e/o arteriosa e/o del microcircolo) e/o complicanze ostetriche e dalla presenza nel sangue degli anticorpi antifosfolipidi (aPL) che comprendono gli anticorpi anti-cardiolipina (aCL), gli anticorpi anti-β2glicoproteina I (anti- β2GPI, e il lupus anticoagulant (LA).

Si distinguono nell’APS una forma primitiva e una forma secondaria ad altre condizioni patologiche, in particolare al lupus eritematoso sistemico (LES).

La prevalenza della APS non è nota, ma si stima che gli aPL siano presenti nel 2-5% della popolazione generale. L’APS di solito esordisce nei giovani adulti o negli adulti di mezza età, ma può presentarsi a tutte le età. Prevale nel sesso femminile con un rapporto femmine/maschi di 5:1.

Cause

Non sono note l’eziologia e la patogenesi delle manifestazioni cliniche della APS, nonostante vengano proposti molti meccanismi patogenetici nei quali gli aPL rivestono un ruolo attivo in quanto responsabili del quadro clinico. Si ritiene che l’APS sia una malattia multifattoriale e in alcune famiglie sembra esserci una predisposizione genetica.

Si ipotizza che gli aPL agiscano interferendo con la funzione delle cellule endoteliali attivate e delle proteine di legame sui vasi sanguigni, causando uno stato procoagulante e proinfiammatorio che evolve nella trombosi. Non tutti i pazienti positivi per aPL sviluppano trombosi e/o perdite ostetriche suggerendo che gli aPL sono necessari ma non sufficienti per innescare APS. Viene pertanto, descritta l’ipotesi di un evento scatenante “second-hit”; affinché un soggetto positivo per aPL sviluppi la malattia, in cui un iniziale stato ipercoagulante/proinfiammatorio indotto da aPL provoca trombosi e complicanze gravidiche dopo un fattore scatenante come un trauma o un’infezione.

Sintomi

Le manifestazioni vascolari sono eterogenee e di diversa gravità, possono variare dalla trombosi venosa profonda singola o multipla, alla trombosi arteriosa singola o multipla, alla trombosi del microcircolo. La trombosi può interessare il microcircolo oppure i vasi di qualsiasi calibro sia venosi che arteriosi in qualsiasi distretto corporeo; le sedi più frequentemente coinvolte sono gli arti inferiori e superiori, il sistema nervoso centrale, la cute, il polmone, il cuore e il rene.

La trombosi venosa profonda è la manifestazione più frequente, di solito è idiopatica e può interessare siti non usuali. L’impegno neurologico è di tipo ischemico con diverse espressioni tra cui spicca l’ictus, l’attacco ischemico transitorio e la trombosi dei seni venosi. La cute viene interessata dalle trombosi dei piccoli vasi del derma che clinicamente si esprime con lesioni ischemiche quali la microlivedo acrale fissa, le ulcere e la gangrena. Anche l’interessamento polmonare è frequente, soprattutto la tromboembolia, descritte pure le trombosi in situ dei vasi polmonari e l’alveolite emorragica conseguente a trombosi del microcircolo polmonare.

Il cuore può essere colpito dalla classica cardiopatia ischemica che clinicamente si manifesta con i segni di angina pectoris o infarti e più raramente da trombosi del microcircolo o da trombosi endocavitaria. L’impegno renale è peculiarmente rappresentato dalla microangiopatia trombotica anche se possono essere coinvolti dalle trombosi, i vasi renali di calibro maggiore sia arteriosi che venosi.

Altre manifestazioni presenti nell’APS che non vengono incluse nei criteri classificativi ma che ricorrono con una certa frequenza sono la livedo reticularis, le disfunzioni cognitive, le lesioni valvolari cardiache da endocardite trombotica, la cefalea, l’emicrania e l’epilessia. La piastrinopenia (< 100000 x mm3) idiopatica o associata agli anticorpi anti-glicoproteine di superficie delle piastrine è frequente nell’APS; più rara invece è l’anemia emolitica.

L’impegno ostetrico comporta delle manifestazioni ben definite indicate nei criteri classificativi che includono aborti, perdite fetali e prematurità. Tuttavia si riscontrano con una certa frequenza anche altre complicanze gravidiche come la preeclampsia, il ritardo di crescita intrauterino (IUGR), l’oligoidramnios, il distacco intempestivo della placenta e la rottura prematura delle membrane.

Diagnosi

Attualmente non esistono criteri diagnostici per la diagnosi di APS. I pazienti che presentano manifestazioni cliniche tipiche come trombosi inspiegabili o ricorrenti, perdita fetale inspiegabile, perdita ricorrente precoce della gravidanza e insufficienza placentare precoce o preeclampsia devono essere valutati per la diagnosi. La presenza di lieve trombocitopenia, livedo reticularis o malattia valvolare cardiaca può rafforzare il sospetto per la sindrome. Attualmente nella pratica clinica per fare la diagnosi di APS si basa sui criteri classificativi.

La diagnosi di APS si pone quando sono soddisfatti almeno un criterio clinico ed un criterio di laboratorio confermato a distanza di 12 settimane. I criteri attualmente più seguiti sono quelli proposti dal Consensus Internazionale di Sidney nel 2004 e riportati qui di seguito:

CRITERI CLINICI

  1. Trombosi vascolari

Uno o più episodi di trombosi arteriosa, venosa o del microcircolo, in qualsiasi tessuto od organo. La trombosi deve essere confermata da criteri obiettivamente validati come appropriate indagini strumentali o esami istopatologici.

 

  1. Impegno ostetrico
    1. 1 o più perdite da causa sconosciuta di un feto morfologicamente normale in età gestazionale ³ 10° settimana;
    2. 1 o più nascite premature di un neonato morfologicamente normale in età gestazionale < 34° settimana, per severa preeclampsia o eclampsia o insufficienza placentare;
    3. 3 o più aborti da causa sconosciuta, consecutivi, spontanei, in età gestazionale < 10° settimana. Vanno escluse le cause anatomiche, ormonali e cromosomiche.

 

CRITERI DI LABORATORIO
 

  1. Presenza nel plasma dei LA, in due o più determinazioni eseguite ad almeno 12 settimane di distanza l’una dall’altra.
  2. Presenza nel siero di aCL diretti contro il complesso cardiolipina/b2-GPI. Essi possono essere di classe immunoglobulinica G (IgG) e/o M (IgM), a titolo medio-alto (>40 GPL o MPL oppure >99° percentile) e devono risultare positivi in due o più determinazioni, distanziate di almeno 12 settimane l’una dall’altra.
  3. Presenza nel siero di anticorpi anti-β2-GPI di classe IgG e/o IgM, a titolo medio-alto (99° percentile) e positivi in due o più determinazioni eseguite ad almeno 12 settimane di distanza l’una dall’altra.

Si sottolinea che la trombosi può essere più frequente quando coesistono più fattori di rischio e che le attuali evidenze suggeriscono che la positività antifosfolipidica multipla sia associata con una forma più severa di malattia aumentando in maniera significativa il rischio trombotico. Un profilo aPL ad alto rischio viene considerato la presenza persistente di LA da solo o associato alla presenza di aCL e/o anti-β2-GPI IgG/IgM a titolo medio-alto. Diversamente, un profilo a basso rischio si ritiene la presenza di anticorpi aCL o anti-β2-GPI IgG/IgM isolate.

Trattamento

Il trattamento riservato ai pazienti con APS che hanno sviluppato un episodio trombotico non è diverso da quello che riceve un paziente affetto da trombosi di altra natura. L’anticoagulazione viene iniziata con eparina e proseguita con anticoagulanti orali (warfarin). I nuovi anticoagulanti orali non si sono dimostrati efficaci a contrastare la trombosi da aPL e quindi sono per il momento controindicati nei pazienti con APS.

Tuttavia a differenza dei pazienti affetti da trombosi idiopatica, a quelli con diagnosi di APS, dato l’elevato rischio di ricorrenza di fenomeni trombotici, si raccomanda generalmente una terapia sine termine con warfarin, mantenendo l’INR tra 2.0 e 3.0 per soggetti al primo evento trombotico sul versante venoso, tra 3.0 e 4.0 nei pazienti con eventi ricorrenti o trombosi arteriosa, talvolta anche associato ad aspirina a basso dosaggio.

Dal momento che gli anticorpi antifosfolipidi sono stati dimostrati nel 2-5% della popolazione sana e in una percentuale certamente significativa di soggetti con malattia autoimmune sistemica (30-50% nel LES) si pone il problema di come curare soggetti con positività anticorpale, ma senza precedenti episodi trombotici. E’ estremamente importante in questi pazienti allontanare i fattori di rischio aggiuntivi per trombosi quali tabagismo, obesità, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, contraccettivi orali ed introdurre profilassi con eparina nelle situazioni ad alto rischio di manifestazioni trombotiche (interventi chirurgici, immobilità per varie cause, etc.)

E’ controversa l’utilità di una profilassi primaria antiaggregante con aspirina a basso dosaggio: attualmente non c’è evidenza di un significativo beneficio anche perché mancano dati provenienti da una casistica sufficientemente ampia, tuttavia secondo alcuni autori l’utilizzo di aspirinetta in questi soggetti riduce l’incidenza di fenomeni trombotici.

 

In particolare la terapia può essere distinta:

  • Profilassi primaria in soggetti aPL positivi. E’ consigliata la terapia con aspirina a basso dosaggio (75-100 mg/die) in due condizioni:
    • Nei soggetti con positività per aPL e presenza di un profilo autoanticorpale aPL ad alto rischio in presenza e/o assenza di fattori di rischio cardiovascolari tradizionali.
    • Nei pazienti con LES e presenza di un profilo autoanticorpale aPL a alto rischio.
  • Profilassi secondaria dopo evento trombotico.
    • Trombosi Venosa: la tromboprofilassi secondaria in seguito al primo evento di trombosi venosa idiopatica è warfarin per tutta la vita, con INR tra 2 e 3. Per i pazienti con trombosi ricorrente, in corso di terapia anticoagulante con INR in range terapeutico si aumenta il target dell’INR tra 3 e 4, e/o si associa terapia con aspirina a basso dosaggio (75-100 mg/die). In caso di singola trombosi venosa provocata (ovvero, a seguito di un lungo viaggio in aereo, nuovo uso di contraccettivi orali, etc….), la terapia va continuato secondo le usuali indicazioni per i pazienti con aPL, ma senza APS; si raccomanda una durata più lunga in caso di profilo anticorpale ad alto rischio.
    • Trombosi Arteriosa: In generale, i pazienti con trombosi arteriosa sono trattati con un regime anticoagulante più aggressivo rispetto a quelli con trombosi solo venosa. È consigliato l’uso a continuativo degli anticoagulanti orali, warfarin ad alta intensità, INR 3 o 4 o in combinazione con aspirina a basso dosaggio (cioè 75 o 100 mg) con warfarin ad intensità moderata (INR tra 2 e 3).

In caso di recidiva nonostante terapia adeguata si potrebbe associare terapia con idrossiclorochina, e/o statine che hanno un effetto anti-infiammatorio e antitrombotico.

  • Profilassi delle complicanze ostetriche. Si è rivelato negli ultimi anni come trattamento di scelta quello con eparina associata ad aspirina a basso dosaggio (75-100 mg/die). Attualmente viene preferita l’eparina a basso peso molecolare per il minor rischio di piastrinopenia da anticorpi anti fattore piastrinico 4 (anti-PF4), nonché di osteoporosi. Il suo dosaggio sarà profilattico (monodose giornaliera) nelle donne con APS senza storia di trombosi vascolare, mentre in quelle con pregressa trombosi sarà terapeutico (doppia dose giornaliera). Le donne non responsive al suddetto protocollo potrebbero beneficiare delle terapie addizionali. Quelle più frequentemente utilizzate ad ora sono idrossiclorochina, steroide a basso dosaggio, boli di immunoglobuline endovena ed aferesi terapeutica da sole o in combinazione. In tutti i casi risulta fondamentale proseguire il trattamento antitrombotico con eparina durante il puerperio.

Sindrome da anticorpi antifosfolipidi catastrofica

La sindrome da anticorpi antifosfolipidi catastrofica (CAPS) è una sindrome clinica a prognosi molto severa, caratterizzata dalla rapida insorgenza di trombosi in più organi, causando così un insufficienza multiorgano, in pazienti che soddisfano i criteri sierologici per l’APS. La CAPS è una malattia rara con una mortalità stimata del 40% durante l’evento acuto. Ha una prevalenza di 1% nell’ambito della APS. La CAPS è caratterizzata dal coinvolgimento clinico in giorni o settimane di almeno tre organi, con evidenza istopatologica di trombosi del microcircolo Manifestazioni comuni includono l’insufficienza renale con ipertensione (70%), la trombocitopenia (60%), il coinvolgimento polmonare (70%), quello cardiaco (53%), complicanze cutanee con livedo reticularis, necrosi o porpora (66%) e manifestazioni cerebrali come l’ictus, encefalopatia, convulsioni o occlusioni venose (60%). I potenziali fattori scatenanti sono identificati in circa il 50% dei pazienti: i più comuni sono le infezioni (20%), i traumi, gli interventi chirurgici e la sospensione della terapia anticoagulante. La concomitante diagnosi di LES è un fattore prognostico sfavorevole.

La terapia della CAPS comprende il trattamento di qualsiasi condizione scatenante la CAPS (ad es. l’infezione) e la “tripla terapia”, che comprende eparina endovenosa, steroidi ad alto dosaggio (per la sindrome da risposta infiammatoria sistemica) e boli di immunoglobuline endovena e/o plasmaferesi.

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