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Il morbo di Paget è un disordine del rimodellamento dell’osso che causa un lento ma progressivo cambiamento della dimensione e della forma delle ossa affette. Il morbo di Paget può colpire virtualmente tutte le ossa del corpo, più spesso però affligge un solo segmento osseo (morbo di Paget monostotico) ma in alcuni casi può essere presente in più di un distretto (morbo di Paget poliostotico). La patologia prende il nome dal suo primo scopritore, Sir James Paget che nel 1876 descriveva la patologia in questi termini: “solitamente ha esordio nell’età avanzata, progredisce molto lentamente, e non da segno di sé per molti anni e, fortunatamente, spesso non influenza la salute dell’individuo affetto. I pazienti, quando sintomatici, presentano dolore osseo di varia intensità. Le ossa si allargano e diventano più fragili e, se sottoposte a carico, si curvano e si deformano. L’osso, esaminato dopo la morte, ha una struttura alterata e appare come infiammato, ricco di vasi.” Questa prima descrizione, sebbene datata, è ancora valida e raccoglie molte delle caratteristiche del morbo di Paget.
La prevalenza del morbo di Paget aumenta con l’età e arriva ad essere tra l’1% e il 5% sopra i 50 anni. Il morbo di Paget è quindi una patologia frequente, in particolare nei maschi e nelle persone con discendenza europea (massima frequenza nel Regno Unito). Tuttavia, visto che è spesso asintomatica, la patologia viene diagnosticata solamente in una piccola parte degli affetti. Il morbo di Paget colpisce più frequentemente il bacino, la colonna, la parte distale del femore e le ossa del cranio e, soprattutto se colpisce numerose ossa, può essere causa di aumentata morbilità e mortalità. Infatti, il morbo di Paget aumenta la fragilità delle ossa colpite e quindi il rischio di frattura, può essere causa di alterazioni della mobilità, se coinvolge il segmento articolare e, nei casi più severi, può determinare alterazioni del circolo sanguigno.
Per la cura del morbo di Paget esistono dei farmaci molto efficaci, i bisfosfonati. I bisfosfonati infatti bloccano in maniera potente e selettiva le cellule che causano l’aumento del rimodellamento osseo tipico del morbo di Paget e, così facendo, fermano l’ingrandimento dell’osso che determina le conseguenze della malattia.
Le cause del morbo di Paget non sono ancora completamente note. L’osso pagetico è popolato da un aumentato numero di osteoclasti, le cellule deputate alla distruzione dell’osso, che si presentano più attivi e grandi, allo stesso tempo però aumentano anche gli osteoblasti, le cellule che costruiscono l’osso, che vengono richiamate dagli osteoclasti mediante un processo chiamato “coupling”. Questo processo causa un aumento del “turnover osseo”, cioè il processo normale di rinnovamento dell’osso; questo aumento però non è vantaggioso e porta alla formazione di un osso dall’architettura disorganizzata (cotonosa), più grande, spesso più denso ma più fragile. Molte ipotesi sono state formulate sul processo che da il via a questa incontrollato e confusionario rimodellamento dell’osso, le più rilevanti ed attuali uniscono cause genetiche a cause virali. Una interessante ipotesi è quella che un virus, in particolare della famiglia dei paramyxovirus, sia alla base della genesi della malattia, è stato infatti ritrovato del genoma di virus all’interno dell’osso pagetico. In aggiunta, le ossa che sono più frequentemente colpite da Paget sono quelle tipicamente più vascolarizzate e che quindi hanno la maggior probabilità di essere coinvolte da infezioni batteriche dal circolo ematico. Sicuramente però esiste una predisposizione genetica alla malattia, i parenti di primo grado di un paziente con morbo di Paget hanno un rischio notevolmente aumentato di avere anch’essi la malattia (7-10 volte il rischio normale). Per di più, esistono delle forme puramente genetiche di morbo di Paget, studi in parti differenti del mondo hanno mostrato infatti intere famiglie che presentavano il morbo con mutazioni in un gene particolare (SQSTM1 sul cromosoma 5q35). Questo gene, insieme ad altri descritti, sono di fondamentale importanza per la regolazione e lo sviluppo degli osteoclasti, le cellule alla base del morbo di Paget.
Circa un terzo dei pazienti presenta una singola lesione ossea con particolare predilezione per il bacino, la colonna, il femore e il cranio. I sintomi e le complicanze della malattia si possono dividere in 4 grandi tipologie:
• Sintomi correlabili alla compressione: Il dolore nell’osso pagetico è determinato dalla compressione delle strutture adiacenti, con possibile compressione nervosa o vascolare. La cefalea è tipica del morbo di Paget cranico che si presenta con il segno del cappello (ovvero la necessita di cambiare il cappello con l’avanzare dell’età per l’aumento della circonferenza del cranio). È celebre inoltre l’esempio della compressione dell’ottavo nervo cranico (nervo acustico) determinato da morbo di Paget che afflisse e rese sordo Ludwig van Beethoven. Altre manifestazioni classiche sono dovute alla compressione di radici nervose nella colonna che determinano dolore neuropatico.
• Sintomi correlabili alla deformazione: La deformazione delle ossa colpite da morbo di Paget può portare ad instabilità della struttura. Un esempio tipico è la deformazione a sciabola delle ossa lunghe che, aumentate di dimensione curvano sotto il carico. Inoltre, se viene colpito un segmento articolare, si può perdere la funzionalità dell’articolazione e si può sviluppare artrosi secondaria con importanti deficit del movimento.
• Sintomi correlabili alla fragilità: L’osso pagetico è più grande e voluminoso ma perde tutte le caratteristiche strutturali che lo rendono resistente e flessibile. Per questi motivi il paziente affetto da morbo di Paget è ad alto rischio di frattura da fragilità. Un paziente su dieci, infatti, si presenta al medico con frattura da fragilità che viene in seguito ricondotta al morbo di Paget.
• Sintomi correlabili all’aumentata vascolarizzazione: La cute sovrastante l’osso pagetico si presenta spesso calda ed arrossata per l’aumentata vascolarizzazione, questa aumentata vascolarizzazione può essere tale da causare un furto da altre strutture adiacenti, causando, in casi estremi, anche delle ischemie periferiche. L’aumentata vascolarizzazione può inoltre causare uno scompenso cardiaco, evento estremamente raro riscontrato nel paget poliostotico.
L’evoluzione del morbo di Paget in sarcoma, un tumore maligno delle ossa, è rara ma possibile.
La diagnosi del morbo di Paget si basa sulle caratteristiche cliniche sopra riportate che fanno porre il sospetto e su indagini radiologiche (radiografie e scintigrafia ossea) ed esami di laboratorio.
• Radiografia standard: La radiografia viene spesso prescritta dal medico a seguito di un riferito clinico come dolore o alterazioni neurologiche. Le ossa colpite da morbo di Paget alla radiografia convenzionale appaiono ingrandite con aspetto cotonoso. La trama dell’osso è irregolare e si individuano zone più dense alternate a zone osteoporotiche. La corticale ossea è più spessa e densa ma spesso è deformata.
• Scintigrafia ossea: La scintigrafia ossea con bisfosfonati marcati è una tecnica radiografica che consente di individuare le zone dello scheletro che sono più attive metabolicamente. Viene iniettato nel paziente un bisfosfonato che emana una debole radiazione, questa sorta di mezzo di contrasto si lega con particolare avidità all’osso pagetico che viene così individuato. Il ruolo della scintigrafia ossea è quello di “scannerizzare” l’individuo intero per evidenziare eventuali localizzazioni non note di morbo di Paget. Solitamente infatti la scintigrafia ossea è riservata a quei pazienti che hanno già ricevuto diagnosi di Paget o con altissimo sospetto di malattia e serve per escludere un coinvolgimento poliostotico.
• Esami di laboratorio: Abbiamo a disposizione alcuni esami laboratoristici che ci consentono di indagare con discreta precisione e accuratezza l’attività metabolica dell’osso. Queste molecole sono dette “markers del turnover osseo” e sono la fosfatasi alcalina (ALP) e la sua isoforma ossea (bALP), enzima coinvolto nella sintesi del collagene, il P1NP, frammento proteico derivato dalla sintesi del collagene nell’osso da parte degli osteoblasti e il CTX, frammento proteico derivato dalla distruzione del collagene nell’osso da parte degli osteoclasti. Questi markers risultano invariabilmente elevati nel morbo di Paget e sono utili nella diagnosi differenziale e nel follow-up del paziente con diagnosi nota.
La terapia del morbo di Paget tiene in considerazione l’eziopatogenesi della malattia che è determinata da un’aumentata attività delle cellule che distruggono l’osso, gli osteoclasti. La terapia farmacologica si fonda infatti sui bisfosfonati, potenti inibitori del turnover osseo che vengono diffusamente utilizzati per il trattamento dell’osteoporosi post-menopausale.
Scelta del principio attivo: I bisfosfonati sono composti inorganici che hanno la capacità di attaccarsi più o meno avidamente ai cristalli che compongono l’osso. Quando l’osteoclasta dissolve il cristallo di calcio i bisfosfonati vengono inglobati all’interno della cellula e ne determinano la morte. Esistono diversi bisfosfonati ma i più utilizzati per il trattamento del morbo di Paget sono l’acido zoledronico e l’acido neridronico, due potenti bisfosfonati. Questi farmaci sono utilizzati per via endovenosa e hanno un ottimo profilo di sicurezza, sebbene siano controindicati nelle patologie renali gravi. L’acido zoledronico è il più potente bisfosfonato a disposizione e permane per lungo tempo all’interno dell’osso, questa caratteristica ne permette l’utilizzo dilazionato nel tempo, la dose raccomandata è una fiala da 5 mg per via endovenosa. L’acido neridronico è un altro potente bisfosfonato dalla durata di azione più breve la cui dose raccomandata è 100 mg per via endovenosa per due giorni consecutivi. Questi due principi attivi vengono solitamente preferiti ad altri bisfosfonati per via orale (e.g., alendronato o risedronato) poiché sono caratterizzati da maggiore potenza sull’osteoclasta e maggiore avidità nel legame con l’osso, qualità fondamentali per il trattamento del morbo di Paget
Terapie adiuvanti: Per il corretto uptake e funzionamento dei bisfosfonati è necessario garantire un adeguata supplementazione con vitamina D e calcio. Per quanto riguarda la vitamina D vanno raggiunti valori ematici adeguati (>20 ng/mL) che difficilmente, nella popolazione anziana, vengono raggiunti con la sola esposizione al sole o con la dieta ma possono essere raggiunti in totale sicurezza con dose di carico fino a 100.000 UI in singolo bolo per via orale seguite da 1.000 UI giornaliere per tutta la durata del trattamento del morbo di Paget. Per garantire un adeguato introito di calcio è sufficiente introdurre una discreta quantità di latte/formaggi/yoghurt nella dieta e, solitamente, non è necessario ricorrere a supplementi.
Monitoraggio della terapia: Il monitoraggio della terapia si basa sui markers del turnover osseo sopra descritti. Il più frequentemente utilizzato, poiché più economico e diffuso è la fosfatasi alcalina (ALP). Quando questo marker è basso (all’interno o al di sotto del range di normalità) la malattia può essere considerata “spenta” e non è necessario ripetere la dose di farmaco. La frequenza di ripetizione degli esami varia da caso a caso e solitamente va da qualche mese ad addirittura anni. Molti pazienti infatti percepiscono la ripresa della malattia dal nuovo esordio di dolore (cefalea ad esempio) e vengono trattati di conseguenza. Vanno inoltre tenuti in considerazione i fattori che potrebbero falsamente elevare i valori della ALP quali l’epatopatia cronica o patologie della colecisti, in questi casi si può ricorrere all’utilizzo di altri marcatori quali il P1NP, il CTX o l’isoenzima osseo della ALP.
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