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L’artrosi è la malattia articolare più frequente e la maggiore causa di disabilità nella popolazione anziana. Il termine artrosi, formato dalle parole di origine greca “artro” che significa articolazione e “osi”, che significa degenerazione, indica una malattia degenerativa delle articolazioni. Sinonimi di artrosi sono anche osteoartrosi e nei paesi anglosassoni, osteoartrite (osteoarthritis).
Le articolazioni sono strutture deputate a collegare o “articolare” fra di loro le ossa. Quelle che collegano fra loro i segmenti ossei mobili, sono provviste di tessuti di diversa composizione e diversa funzione, fra cui i più importanti sono la membrana sinoviale e la cartilagine. La prima permette la lubrificazione dell’articolazione e la sorveglianza immunitaria contro agenti estranei e produce alcune sostanze necessarie per la nutrizione e lo scorrimento delle superfici articolari che versa nel liquido sinoviale. La cartilagine, che ricopre e protegge le ossa articolari, serve soprattutto a sopportare il carico esercitato sulle articolazioni soprattutto durante il movimento. Originariamente considerata una patologia della cartilagine, oggi l’artrosi è una patologia dell’intera articolazione che colpisce tutti i tessuti articolari come la membrana sinoviale, i menischi, l’osso subcondrale, i legamenti e il tessuto adiposo infrapatellare.
Le lesioni più rilevanti dell’artrosi si ritrovano proprio a livello della cartilagine, per cui le maggiori conseguenze di questa malattia hanno un rapporto con le funzioni principali di questo tessuto. Non è quindi sorprendente che i principali sintomi dell’artrosi siano connessi con il movimento e perciò definiti di tipo “meccanico”.
Però, alcune ripercussioni si possono avere anche a livello della membrana sinoviale, sebbene esse raramente raggiungano la gravità e l’estensione osservabile nell’artrite. Infatti, oggi l’artrosi non è più considerata una malattia puramente degenerativa dell’articolazione, in quanto i segni di infiammazione clinica, come la tumefazione, sono di frequente riscontro in questa patologia. Inoltre, l’utilizzo di nuove metodiche d’immagine, come l’ecografia e la risonanza magnetica nucleare, ha permesso di evidenziare la presenza di un basso grado d’infiammazione sinoviale che correla con i sintomi e la progressione del danno. L’infiammazione sinoviale nell’artrosi, mediante la produzione di sostanze infiammatorie chiamate citochine, è responsabile dello sbilanciamento tra i fenomeni di degradazione e produzione responsabili del rimodellamento cartilagineo. Inoltre, fenomeni di degenerazione e d’infiammazione si possono riscontrare anche a livello del menisco, dell’osso subcondrale e del tessuto adiposo infrapatellare (fig. 1).
L’artrosi può essere quindi definita come una malattia articolare ad evoluzione cronica caratterizzata da lesioni degenerative, infiammatorie e produttive a carico della cartilagine e degli altri tessuti articolari.
EPIDEMIOLOGIA
L’artrosi è fra le malattie croniche più comuni nella popolazione e la causa di disabilità più frequente nell’anziano. Il peso dell’artrosi è oggi paragonato a quello dell’artrite reumatoide. Colpisce uno su tre individui al di sopra dei 65 anni e soprattutto le donne. La sua prevalenza, stimata attorno al 20-30% della popolazione delle nazioni sviluppate, sta crescendo rapidamente a livello mondiale in relazione all’invecchiamento e all’aumento di fattori di rischio come l’obesità e i traumi articolari. Secondo stime recenti almeno 242 milioni di persone soffrono di artrosi sintomatica di anca o di ginocchio.
Si calcola che l’artrosi sintomatica colpisca in Italia almeno 4.000.000 di soggetti, producendo costi totali intorno ai 6,5 miliardi di Euro. L’impatto economico è rilevante in termini sia di costi diretti per i sistemi sanitari, che di costi indiretti come la perdita di produttività, la disabilità e il pensionamento anticipato. Si aggiungono, inoltre, costi intangibili determinati dalla sintomatologia dolorosa, dalla riduzione della qualità della vita e dalla depressione e dall’ansia che si possono associare a questa patologia.
Un importante studio epidemiologico, il PROVA (PROgetto Veneto Anziani), condotto nella regione Veneto su oltre 3000 ultra-sessantacinquenni residenti nelle province di Padova e Rovigo, ha analizzato la frequenza dell’artrosi effettuando radiografie di anche, mani e ginocchia e fotografie delle mani per poter apprezzare anche il grado di tumefazione e di deformità. E’ stato così evidenziato che il 19% dei partecipanti era affetto da artrosi delle mani, il 20% delle ginocchia e l’11% dell’anca e che gravi limitazioni funzionali e disabilità affliggevano il 14% delle donne ed il 10% dei maschi colpiti da artrosi agli arti inferiori.
Anche se le cause precise che portano all’insorgenza dell’artrosi sono in gran parte ignote, si ritiene che nella maggior parte dei casi intervengano contemporaneamente molti fattori che alterano l’equilibrio articolare. Schematicamente, questo può essere mantenuto se un carico normale viene esercitato su una cartilagine normale. Quindi, tutti i fattori capaci di modificare questo equilibrio, agendo o sul carico o modificando le caratteristiche della cartilagine e degli altri tessuti articolari, possono essere considerati fattori di rischio dell’artrosi.
I fattori di rischio
Come per molte altre malattie, nella maggior parte dei casi si assiste a una combinazione fra la predisposizione genetica dell’individuo e l’influenza dei fattori ambientali, soprattutto quelli che agiscono sul carico, quali le sollecitazioni meccaniche, l’obesità, le malformazioni, i traumi ed i microtraumi. La precocità dell’insorgenza ed il tipo di evoluzione possono poi dipendere dal numero dei fattori che intervengono, dalla loro entità e dalla durata della loro azione. Dal punto di vista epidemiologico, fra i più importanti fattori di rischio si ritrovano la predisposizione familiare nell’artrosi della mano, il sovrappeso e le alterazioni determinate dalla rottura traumatica del legamento crociato anteriore e del menisco per l’artrosi del ginocchio (detta anche gonartrosi) e le lussazioni o sublussazioni per l’artrosi dell’anca (detta anche coxartrosi). Da recenti studi, l’obesità si associa all’artrosi non solo per un effetto puramente meccanico sulle articolazioni sottoposte a carico, come il ginocchio. Infatti, l’artrosi si associa all’obesità anche in articolazioni non sottoposte a carico, come la mano. Il tessuto adiposo è oggi considerato, non solo come un tessuto con funzione d’immagazzinamento, ma come un organo endocrino in grado di produrre, nel soggetto obeso, un basso grado d’infiammazione sistemica in relazione alla produzione di sostanze infiammatorie chiamate adipocitochine, che sono in grado di determinare una disregolazione del sistema immunitario e si associano all’insorgenza di patologie, tra le quali l’artrosi. L’artrosi, oltre all’obesità si associa anche alle altre componenti della sindrome metabolica come l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia e il diabete mellito. Infatti, i soggetti artrosici hanno un più elevato rischio di mortalità legato a complicanze cardiovascolari in relazione anche alla difficoltà di camminare.
Qualche considerazione a parte merita l’età. Nonostante sia a tutti noto che la frequenza dell’artrosi aumenti con l’età, si ritiene attualmente che l’artrosi non debba essere considerata una malattia dell’invecchiamento. In effetti, non tutti gli anziani sono artrosici. È probabile perciò che la tendenza genetica che un individuo ha nella predisposizione a contrarre prima o poi alcune malattie, inclusa l’artrosi, possa essere accentuata ed accelerata dai vari fattori di rischio. Ovviamente, negli anziani la durata dell’esposizione a questi fattori di rischio è maggiore, per cui le conseguenze sono più evidenti.
Come è possibile intuire, alcuni fattori di rischio non sono modificabili, quali l’età e la predisposizione genetica, mentre altri, quali quelli meccanici, il soprappeso, ecc., sono considerati modificabili e pertanto, considerazione raramente proponibile per le altre malattie reumatiche, prevenibili. I diversi fattori di rischio per l’artrosi influenzano lo sviluppo di diversi fenotipi. Infatti, l’artrosi è una malattia eterogenea, nella quale le manifestazioni cliniche e il danno strutturale presentano una discreta variabilità da un paziente ad un altro. Per fenotipo si intende l’insieme delle caratteristiche osservabili di un individuo, che risultano dalla combinazione di fattori genetici e ambientali. Nell’artrosi sono riconosciuti i seguenti fenotipi: traumatico, metabolico, infiammatorio, legato all’età, associato al dolore cronico con sensibilizzazione centrale. Caratterizzare e studiare i diversi fenotipi può essere utile al fine di individuare i pazienti a più elevato rischio di progressione, per identificare processi patologici specifici e conseguentemente sviluppare trattamenti farmacologici mirati.
Le manifestazioni principali che si ritrovano nel paziente affetto da artrosi si possono suddividere in sintomi e segni. Schematicamente, i sintomi sono avvertiti dal paziente, perciò soggettivi, mentre i segni sono osservabili dal medico, e perciò obiettivabili.
Il sintomo principale dell’artrosi è il dolore. Esso è definito di tipo “meccanico”, in quanto viene risvegliato dal movimento ed è alleviato dal riposo. Tuttavia, in alcuni casi si può presentare anche di notte. Il dolore è generalmente il primo sintomo nel paziente con artrosi; all’inizio è sordo e si rivela solo dopo una prolungata attività dell’articolazione colpita. Poi si aggrava progressivamente, manifestandosi anche dopo movimenti minimi o in seguito a particolari atteggiamenti del corpo o posture. Difficilmente è acuto e violento. I pazienti affetti da artrosi, descrivono diverse modalità di presentazione del dolore, che vanno dal costante all’intermittente, ma che generalmente è severo e intenso e determina una riduzione nella partecipazione alle attività della vita quotidiana. Talvolta, il paziente descrive la presenza di formicolii, intorpidimento e sensazione di bruciore, suggerendo una componente neuropatica del dolore artrosico. Non sempre il dolore nell’artrosi correla con l’entità del danno strutturale articolare.
Il dolore può accompagnarsi ad altre manifestazioni soggettive, fra cui le più frequenti e rilevanti per il paziente sono la rigidità (una sensazione di impaccio) e la limitazione funzionale. La rigidità è soprattutto mattutina o insorge dopo prolungata inattività ed è di breve durata, generalmente di 10-15 minuti, senza comunque quasi mai superare la mezz’ora. Nelle artriti invece è generalizzata e può durare anche alcune ore. La limitazione funzionale, che è uno stato di difficoltà nel compiere i movimenti, è nell’artrosi progressiva e proporzionale al danno cartilagineo, ma talvolta può comparire solo negli stati più avanzati.
Fra i segni, l’espressione più rilevante è data dal gonfiore o tumefazione articolare. Essa è generalmente dura ed è dovuta agli osteofiti, escrescenze ossee che si producono nell’articolazione artrosica, ed alla riduzione dello spazio articolare. Può sovrapporsi una tumefazione molle in caso di versamento articolare, dovuto ad un’eccessiva e pertanto patologica produzione di liquido sinoviale. Raramente la cute sovrastante l’articolazione si dimostra calda ed arrossata come nelle artriti. Può essere presente anche un dolore stimolato dalla pressione sull’articolazione. Caratteristico segno dell’artrosi è il crepitio, una sensazione che il paziente può anche ascoltare da solo e si può avvertire dal punto di vista tattile con la palpazione dell’articolazione durante il movimento attivo o passivo. Un evento temibile è l’instaurarsi di un’ipotrofia dei muscoli interessati dal movimento dell’articolazione affetta, che in alcuni casi di coxartrosi o gonartrosi può essere sorprendentemente rapida.
Fra gli esami radiologici, la radiografia è senza dubbio la più utile per la diagnosi e per la valutazione del grado dell’artrosi. È bene però tener presente che molti soggetti, pur avendo dei segni radiologici di artrosi, non hanno alcun disturbo. Per cui non vanno curati, perché non ne hanno bisogno. Pertanto, il medico deve fare attenzione a che i disturbi avvertiti dal paziente siano veramente corrispondenti a quanto osservabile alle radiografie. In altre parole, un soggetto può presentare segni radiografici di artrosi ed avere dolori per altri motivi.
Gli aspetti radiologici più rilevanti e caratteristici dell’artrosi sono essenzialmente rappresentati dalla riduzione dello spazio articolare, secondaria alla riduzione dello spessore normale della cartilagine, e dagli osteofiti, che sono le esuberanti escrescenze ossee osservabili quasi sempre ai bordi dell’articolazione. Specialmente all’esordio, questi segni non sono sempre evidenti o tutti presenti. È bene precisare che, sebbene la presenza di osteofiti rappresenti l’aspetto radiografico più caratteristico dell’artrosi, la riduzione dello spazio articolare è la più strettamente associata alla perdita della funzione articolare. Benché la radiografia sia attualmente la metodica radiologica principale utilizzata per formulare la diagnosi di artrosi, essa non permette di identificare precocemente questa malattia. Infatti, la radiografia non è in grado di valutare le alterazioni cartilaginee iniziali e permette di evidenziare solo alterazioni a carico dell’osso e in modo indiretto della cartilagine, ma non degli altri tessuti articolari coinvolti nel processo artrosico, come i menischi, la membrana sinoviale e il tessuto adiposo infrapatellare. Tali tessuti sono, invece, valutabili mediante l’utilizzo di metodiche più recenti come l’ecografia e la risonanza magnetica nucleare. In risonanza magnetica nucleare sono anche valutabili, mediate l’utilizzo di sequenze specifiche, la perdita cartilaginea precoce e l’edema dell’osso subcondrale, la cui presenza correla nella patologia artrosica con la sintomatologia e con la progressione del danno.
Si tratta di una malattia in cui, non essendoci infiammazione diffusa, non si notano quasi mai alterazione degli esami del sangue, a differenza delle artriti. Quando è presente tumefazione articolare, se è possibile, è bene effettuare un’artrocentesi, ovvero un’aspirazione di liquido sinoviale, per poterlo analizzare. In effetti questo tipo di indagine può essere utile per svelare la presenza di eventuali agenti patologici od irritativi quali, ad esempio i microcristalli.
Per ciò che concerne le localizzazioni, agli arti superiori le articolazioni più spesso colpite sono quelle delle mani, mentre agli arti inferiori risultano molto frequenti le localizzazioni all’anca, al ginocchio ed all’alluce. L’artrosi della caviglia è quasi sempre secondaria a traumi od a sublussazioni, mentre l’artrosi delle ultime quattro dita del piede è inconsueta. Per ciò che riguarda l’artrosi della colonna vertebrale, è bene precisare che sebbene gli aspetti radiologici siano molto frequenti e spesso decisamente appariscenti, la loro responsabilità nel causare disturbi dolorosi è da ridimensionare rispetto a quanto talvolta considerato.
Gli obiettivi essenziali della terapia nell’OA possono essere definiti “a breve termine”, rappresentati dal controllo del dolore e della rigidità e dalla riduzione dell’infiammazione, e “a medio-lungo termine”, costituiti dall’arresto o rallentamento della progressione, dalla prevenzione delle deformità, e dal ripristino della funzione. Per il perseguimento di questi obiettivi possono essere adoperati numerosi mezzi, sia farmacologici che non farmacologici, che spesso necessitano di essere personalizzati a seconda del paziente e di essere coordinati fra di loro per essere realmente efficaci. Per cui, non è sorprendente che accanto all’introduzione di nuove terapie farmacologiche, vada sempre più precisandosi l’importanza di misure di carattere generale, quali in particolare l’educazione del paziente alla conoscenza della malattia da cui è affetto e alla conseguente messa in pratica di alcuni provvedimenti di buon senso quali ad esempio, il calo ponderale e l’attività fisica o riabilitativa, nonché l’impiego di ortesi di scarico. Infatti, i soggetti affetti da artrosi di ginocchio o di anca dovrebbero adottare un regime regolare di esercizi individualizzati e partecipare a programmi di autogestione, rafforzamento, esercizi aerobici a basso impatto e rieducazione neuromuscolare. Prima di stabilire il piano di esercizi, è essenziale valutare l’abilità nello svolgimento delle attività della vita quotidiana, istruire il paziente sulle tecniche di protezione articolare e fornire ausili strumentali, secondo quello che è necessario. Il programma educazionale dovrebbe includere la gestione di esercizi anche con appropriati ausili per la deambulazione, come bastoni da passeggio, stampelle e calzature adatte, e altre misure per prevenire la progressione del danno articolare. Inoltre, i soggetti con artrosi che siano in sovrappeso dovrebbero essere incoraggiati a perdere stabilmente peso. Il cambiamento dello stile di vita consiste non solo in una dieta bilanciata, ma anche nella modulazione delle attività lavorative e domestiche. Tutte queste misure non farmacologiche sono chiaramente indicate dalle recenti raccomandazioni della Società Italiana di Reumatologia sulla diagnosi e trattamento dell’artrosi di ginocchio, anca e mano, pubblicate nel 2019 sulla rivista Reumatismo.
I farmaci impiegati nell’OA si possono suddividere in sintomatici, di cui fanno parte gli analgesici, i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e i farmaci intra-articolari (steroidi ed acido ialuronico), ed in farmaci agenti sulla struttura, detti anche sintomatici a lenta azione (SYSADOA) o condroprotettori. Farmaco di prima scelta nella terapia del dolore nell’OA con dolore lieve-medio è il paracetamolo, sostanza molto conveniente per rapporto rischio-beneficio, almeno fino a dosi £ 3 gr/die. In caso di inefficacia del paracetamolo, è utile ricorrere, in associazione od in alternativa, ai FANS alla minima dose efficace e per il minimo tempo necessario. Nei pazienti a rischio gastro-intestinale è indicato l’utilizzo di farmaci che agiscono selettivamente sulla ciclo-ossigenasi (COX)-2, detti anche Coxib, o di FANS tradizionali ai quali è utile associare una gastroprotezione efficace con farmaci inibitori della pompa protonica. In pazienti con elevato rischio cardiovascolare dovrebbe essere usato il naprossene; gli inibitori della COX-2 sono controindicati, mentre gli altri FANS dovrebbero essere usati con cautela. I medici devono prestare attenzione nel somministrare contemporaneamente acido acetilsalicilico (ASA) e ibuprofene nei pazienti ad elevato rischio cardiovascolare. L’ibuprofene antagonizza l’effetto antiagreggante dell’ASA a basso dosaggio, con conseguente riduzione dell’effetto cardioprotettivo. Questa interazione è minima se l’ibuprofene è assunto occasionalmente due ore dopo la somministrazione di ASA. Nei pazienti nefropatici l’uso di FANS e inibitori della COX-2 dovrebbe essere evitato. I trattamenti farmacologici topici sono da preferirsi a quelli sistemici, in particolare nel caso di dolore lieve-moderato e quando sono colpite solo poche articolazioni. I FANS topici sono trattamenti sicuri e efficaci. Pazienti con più di 75 anni dovrebbero preferire formulazioni topiche piuttosto che FANS per via orale, anche se l’effetto del trattamento topico tende a scemare dopo il primo anno di utilizzo.
In caso di inefficacia del paracetamolo e/o controindicazione del FANS (per un incremento del rischio cardiovascolare e gastrointestinale o perdita di efficacia) è raccomandato l’utilizzo di oppiodi deboli in particolare il tramadolo. Anche la duloxetina può essere d’aiuto nell’OA di ginocchio e verosimilmente di anca, associata a dolore cronico.
La precisione delle infiltrazioni intra-articolari dipende dall’articolazione e dall’abilità di chi le effettua. La guida ecografica può migliorare la precisione ed è particolarmente raccomandata per le articolazioni di difficile accesso per posizione, stadiazione e obesità. Le infiltrazioni di acido ialuronico di diverso peso molecolare possono portare a benefici sintomatici con minima tossicità e possono ridurre l’uso dei FANS. Le infiltrazioni intra-articolari con corticosteroide possono essere di beneficio perché portano ad un rapido controllo dei sintomi nei soggetti che sono affetti da riacutizzazioni dolorose e che non rispondono o hanno controindicazioni all’uso di analgesici o di FANS. Non è ancora chiaro se le infiltrazioni intra-articolari di cellule staminali mesenchimali o gel piastrinico possono contribuire ad alleviare il dolore associato all’OA del ginocchio.
Della categoria dei SYSADOA o condroprotettori, i farmaci che hanno ricevuto più dimostrazione di efficacia sui sintomi sono la glucosamina solfato e il condroitin solfato, mentre le conoscenze riguardo al loro effetto strutturale e il rapporto costo/beneficio sono insufficienti.
Le ortesi sono in grado di prevenire la progressione del danno anatomico e migliorano la funzionalità dell’articolazione. Nell’OA di anca e ginocchio, l’impiego di ausili come il bastone d’appoggio, il deambulatore e le stampelle è consigliato come misura preventiva. Si raccomanda l’impiego di calzature comode e appropriate. Nell’OA della mano, la combinazione di splint per la base del pollice, ortesi e esercizi attenua il dolore e migliora la funzionalità nel breve e lungo periodo, prevedendo o correggendo l’inclinazione laterale e la deformità in flessione.
Per ciò che concerne la terapia chirurgica, le artro-protesi dovrebbero essere considerate nei soggetti con evidenza radiografia di OA, che presentano disabilità marcata, ridotta qualità di vita o dolore refrattario ad altri trattamenti.
Tra le terapie fisiche, secondo le Raccomandazioni SIR del 2019, la TENS ha dimostrato di poter contribuire alla riduzione nel breve periodo del dolore in alcuni pazienti con OA dell’anca o del ginocchio e la balnoterapia in acqua termale o minerale. Anche gli esercizi in acqua, sotto la guida di un fisioterapista, possono alleviare i sintomi dell’OA.
Un altro importante aspetto, è quello della prevenzione. L’artrosi è fra le pochissime malattie reumatiche che si possono prevenire o ritardare nell’evoluzione. In effetti, alcuni dei fattori di rischio di cui abbiamo già discusso, sono modificabili. Ciò vuol dire che riducendo i fattori di rischio modificabili si può ritardare l’insorgenza della malattia. In altri casi, limitando questi fattori di rischio, si può ritardare la progressione della malattia. Esempio molto efficace di un fattore di rischio che è possibile evitare è quello dell’obesità. Possiamo agire su questa ottenendo risultati circa i tre tipi di prevenzione conosciuti, primaria secondaria o terziaria: a) prevenzione primaria (ovvero per evitare che la malattia si verifichi): con un peso corporeo inferiore, si riduce la probabilità di essere colpiti dall’artrosi del ginocchio (la perdita di 5 kg riduce la probabilità del 50% inferiore di sviluppare l’artrosi); b) prevenzione secondaria (impedire che la malattia progredisca): un peso corporeo maggiore è associato a una maggiore rapidità di progressione; c) prevenzione terziaria (evitare o limitare i danni od i disturbi alla persona derivanti dalla malattia): la riduzione del peso corporeo riduce i dolori e migliora la funzione articolare.
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