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L’artrite psoriasica (AP) è un’artropatia infiammatoria associata alla psoriasi. Tuttavia, va subito chiarito che questa definizione dev’essere interpretata con una certa elasticità, in quanto spesso non si trova una vera e propria artrite (che letteralmente vuol dire infiammazione delle articolazioni), ma un interessamento di tessuti vicini alle articolazioni (quali inserzioni di tendini e ligamenti, le cosiddette entesi, o infiammazione dell’osso, ecc). Inoltre, poiché in circa il 5-10% dei pazienti con AP la psoriasi insorge dopo l’artrite, può succedere che, quando viene fatta la diagnosi di AP, questa risulti poco comprensibile dal paziente (e talvolta anche per il Medico Curante…), visto che in quel momento non c’è evidenza né di psoriasi né di una vera artrite. Va detto però che alcune manifestazioni sono così caratteristiche, che si può fare lo stesso la diagnosi di AP anche senza avere tutti gli elementi oggettivi che sono di solito necessari per altre malattie. Comunque, l’AP fa parte delle spondiloartriti (SpA) e fra queste è probabilmente quella che presenta lo spettro di manifestazioni più variegato, tale da richiedere una classificazione in varie forme.
La frequenza dell’AP nella popolazione varia a seconda delle popolazioni, da 0,001% nel Giappone a 0,42% in Italia. Nei pazienti con psoriasi, la prevalenza europea è stimata da 13,8% a 40%, per cui si può affermare che colpisce all’incirca 1/3 dei pazienti con psoriasi. A sua volta, la prevalenza della psoriasi nella popolazione europea è stimata intorno a 2-5%. Per ciò che concerne il sesso, la distribuzione sembra abbastanza omogenea e per quanto riguarda l’età, l’insorgenza più frequente si verifica intorno ai 30-50 anni.
Come nella psoriasi, una particolare predisposizione familiare è stata osservata anche nei pazienti con AP, i cui familiari hanno una probabilità 30-40 volte più elevata rispetto alla popolazione generale di ammalarsi di AP. Questa tendenza è stata chiarita mediante studi di immunogenetica, dai quali è apparso che la psoriasi è significativamente associata agli antigeni HLA-Cw6 o DR7. L’AP di tipo periferico è invece associata all’HLA B16 e ai suoi sottotipi B38 e B39, e quella spondilitica al B27. Nella classe B, antigeni predisponenti, sia pure con rischio minore, sono anche il B7 ed il B17. L’associazione con antigeni di classe II (DR) è segnalata per la forma simil-reumatoide, nella quale si trova un’aumentata frequenza di HLA-DR4 e DQw3.
Sul terreno genetico predisponente, vari agenti possono scatenare l’insorgenza della psoriasi e/o dell’AP. Fra questi si ricordano i traumi fisici e psichici (stress), l’assunzione di farmaci particolari (ad es. interferon) e le infezioni. Alcuni assegnano agli agenti microbici un ruolo eziologico assai importante, tanto da includere l’AP nel gruppo delle artriti reattive. Negli ultimi anni l’ipotesi microbica ha preso ulteriore impulso dalla constatazione della frequente insorgenza di psoriasi o di AP in pazienti con infezione da HIV.
Come per la psoriasi, anche per l’AP le alterazioni immunitarie che riguardano soprattutto la componente linfocitaria T. Va peraltro tenuto conto come la psoriasi sia considerata come la più frequente malattia T-cellulo-mediata nella popolazione. Studi recenti hanno ritrovato sottotipi di cellule T (cellule Th17) nelle cute psoriasica e nelle articolazioni dei pazienti con AP.
L’immunopatogenesi dell’AP si può suddividere in tre fasi: iniziale o di induzione della malattia, fase di amplificazione del processo e fase effettrice. Sembra sempre più chiaro come protagonista della fase iniziale sia l’immunità innata (la più ancestrale), mentre l’immunità acquisita entra in gioco per la cronicizzazione del processo. La fase di induzione è probabilmente scatenata da fattori ambientali, quali le infezioni, i traumi o qualsiasi altro danno che l’immunità innata considera quale pericoloso segnale (“danger signal”).
Come per altre malattie infiammatorie, il ruolo delle citochine è cruciale sia per la psoriasi che per l’AP, peraltro largamente confermato dall’efficacia dei farmaci biologici anti-citochine in queste due affezioni. In effetti, il pattern citochinico nel liquido sinoviale e nella membrana sinoviale è simile a quello che si osserva nell’AR.
La fase effettrice, responsabile sia dei processi di distruzione che di quelli di rimodellamento o riparazione, è dominata dall’aumentata attività e concentrazione di enzimi tissutali destruenti. La cellula chiave è l’osteoclasta (cellula che si specializza nel catabolismo dell’osso). L’AP è anche caratterizzata, a differenza dell’AR, da una notevole capacità rimodellante, con esuberanti calcificazioni ed ossificazioni, sia articolari che periarticolari o nelle entesi, i cui meccanismi sono ancora poco chiari, ma con probabile ruolo rilevante delle citochine che agiscono da fattori di crescita.
A differenza delle altre SpA, il quadro clinico dell’AP è molto variegato e può mutare nel tempo, associando alcuni aspetti abbastanza generici ad altri così caratteristici che indirizzano rapidamente alla diagnosi. Per cercare di fare ordine in questa grande eterogeneità di espressione, gli illustri Reumatologi inglesi di Leeds Wright e Moll nel 1973 proposero una classificazione dell’AP che prevedeva cinque varietà cliniche: oligoartrite asimmetrica, poliartrite simmetrica simil-reumatoide (AR), impegno predominante delle articolazioni interfalangee distali (IFD)(detta forma classica), spondilite, artrite mutilante. La frequenza di ognuna di queste forme proposta da questi autori è probabilmente variata con il tempo, ma pensiamo che possa ancora considerarsi tuttora accettabile.
L’oligoartrite (colpite fino a meno di 5 articolazioni) asimmetrica è la varietà più frequente (60-70%). Le articolazioni più spesso interessate sono quelle degli arti inferiori, soprattutto ginocchia, caviglie e piedi, seguite dalle mani. La distribuzione delle sedi coinvolte è tipicamente asimmetrica. Le caratteristiche dell’artrite sono abbastanza indistinguibili da quelle dell’AR o di altre espressioni articolari infiammatorie, con dolore, dolorabilità e tumefazione, e talvolta calore e rossore. A questa varietà si associa più frequentemente la dattilite (dito a salsicciotto).
La poliartrite simmetrica simil-reumatoide si ritrova nel 15-20% dei soggetti. Ha molte somiglianze con l’AR, ma può da questa differenziarsi per una minore estensione del numero delle articolazioni colpite, per il più raro reperto del fattore reumatoide o degli anticorpi anti-citrullina (anti-CCP) (che però possono anche essere presenti), per il più frequente coinvolgimento delle IFD e della colonna e per la minore evolutività. Molti aspetti che caratterizzano l’AP e che abbiamo descritto nelle forme precedenti possono essere ritrovati anche nella forma simil-reumatoide. E’ presente la rigidità mattutina, generalmente con durata > 60 m’. Talvolta però queste caratteristiche possono mancare completamente, nel qual caso, soprattutto quando sono presenti il fattore reumatoide e/o gli anticorpi anticitrullina (anti-CCP), è difficile proporre una diagnosi differente dall’AR, anche in presenza di psoriasi.
La spondilite ha una frequenza valutabile intorno a 5-10%. E’ però utile ricordare che un impegno sia pur minimo della colonna vertebrale e delle articolazioni sacroiliache può trovarsi in qualsiasi variante di AP. Come è stato detto, le entesopatie sono tipiche e frequenti e possono localizzarsi in zone più o meno estese della colonna, causando disturbi di vario tipo. L’inserimento nella varietà spondilitica dipende dalla prevalenza delle lesioni della colonna rispetto a quelle delle altre sedi. D’altra parte è frequente in questa forma l’associazione con l’HLA-B27. Nei casi più tipici di spondilite psoriasica, alcuni aspetti si hanno di solito aspetti che la distinguono dalla spondilite anchilosante.
La forma classica, così definita perché interessa in modo predominante le IFD, che raramente sono colpite da artriti di altra natura, ha una frequenza intorno a 5-10%. L’artrite delle IFD può peraltro essere concomitante a quella di varie articolazioni caratteristiche delle altre forme di AP. In genere l’artrite delle IFD è oligoarticolare, quasi sempre associata a onicopatia (alterazione dell’unghia) e colpisce di più il sesso maschile.
La grave forma mutilante è per fortuna rarissima ed è causata da un’erosione marcata dell’osso delle falangi distali, che conferisce l’aspetto delle dita a “cannocchiale”.
Nell’AP, anche in assenza di una vera spondilite, vi è anche un frequente interessamento infiammatorio delle articolazioni sacroiliache con una sacro-ileite. Talvolta l’impegno delle entesi può essere periferico e presentarsi anche in modo isolato sia a livello delle dita delle mani e dei piedi, con una reazione tenosinovitica e legamentosa che talvolta si esprime con un dito a salsicciotto, la cosiddetta dattilite, oppure con un impegno della fascia plantare (fascite) o del tendine d’Achille. Queste espressioni cliniche possono quindi presentarsi in modo isolato oppure essere ritrovabili tutte assieme nello stesso paziente.
Va sottolineato che anche l’AP, come l’AR, può interessare altre parti dell’organismo (impegno sistemico), per cui in alcuni pazienti possiamo ritrovare febbre, malessere generale ed astenia, un sintomo quest’ultimo spesso sottovalutato in passato, ma che negli ultimi anni è stato adeguatamente valorizzato.
Nell’AP è possibile ritrovare numerose altre manifestazioni, alcune delle quali sono poco frequenti ma talvolta addirittura patognomoniche (tipiche di questa malattia e non ritrovabile in altre), che rendono talvolta la diagnosi accessibile solo agli esperti.
Impegno extra-articolare e comorbidità
Il principale elemento che distingue l’AP dalle altre artriti è l’associazione con la psoriasi. Com’è noto, questa è caratterizzata da eruzioni eritemato-desquamanti a margini netti e di varia dimensione, localizzate soprattutto sulla superficie estensoria dei gomiti e delle ginocchia, alla piega delle natiche, in zona sternale, periombelicale, retroauricolare e al cuoio capelluto. Talora sono limitate solo a quest’ultima sede, dove formano croste, e alla sua attaccatura. Altra localizzazione che può risultare isolata è il condotto uditivo esterno, dove si possono avere aspetti eczematosi che provocano prurito. Alla psoriasi si associa frequentemente un’onicopatia (interessamento dell’unghia) classica caratterizzata da ispessimento distale dell’unghia con ipercheratosi sottoungueale producente materiale secco e biancastro che si stacca facilmente dal bordo, in genere sollevato o scollato, e da solcature, striature e punteggiature (pitting).
L’estensione della psoriasi è molto varia. In certi casi tuttavia, come si è visto, può trattarsi di lesioni isolate e di piccole dimensioni, per cui viene cercata e talora scoperta per la prima volta dal Reumatologo di fronte a un’artrite che ha o può avere le caratteristiche dell’AP. Nell’85% circa dei casi l’affezione cutanea precede l’artrite, nel 5-10% l’esordio può essere contemporaneo, mentre in una minoranza di casi (5-10 %) l’artrite può precedere la psoriasi anche di anni, rendendo quindi più difficile la diagnosi
Se si esclude ovviamente la psoriasi, l’impegno extrarticolare è meno frequente che nell’AR. Come nelle altre SpA, è frequente l’impegno oculare soprattutto come uveite anteriore acuta (iridociclite) che può ritrovarsi, a seconda degli studi, nel 10-25% dei casi. Altre malattie talvolta associate all’AP sono la Celiachia e le Malattie Infiammatorie Intestinali, m.di Crohn e Rettocolite Ulcerosa.
Negli ultimi tempi grande attenzione è dedicata alle comorbidità, fra le quali la più studiata riguarda l’aumentato rischio cardiovascolare. Questa tendenza è associata sia alla psoriasi che, in misura maggiore, all’AP, probabilmente legata al maggior stato infiammatorio. Va peraltro ricordato che la psoriasi può a sua volta associarsi a varie condizioni metaboliche quali, in particolare, obesità, ipertensione, displipidemia, insulino-resistenza ed iperuricemia.
I principali elementi distintivi dell’AP, oltre all’associazione con la malattia cutanea (psoriasi), sono rappresentati dalla distribuzione (oligoarticolare, asimmetrica, delle IFD, assiale) e dal tipo di lesione (entesite). La diagnosi differenziale va comunque posta nei confronti di altre artropatie infiammatorie, quali ad es. l’artrite reattiva, la spondilite anchilosante, l’AR, la gotta e l’artrosi, in particolare la forma erosiva delle mani.
Indagini di laboratorio
Le indagini di laboratorio sono poco specifiche ovvero non esiste un marker diagnostico. Esse possono dimostrare un aumento degli indici di infiammazione, sebbene di entità in molti casi inferiore a quanto ci si aspetterebbe rispetto al quadro clinico. In particolare, in quasi la metà dei casi la velocità di eritrosedimentazione (VES) e la proteina C reattiva (PCr) possono essere nella norma, soprattutto all’esordio. Può esservi anche anemia, ma meno marcata rispetto all’AR. Si possono ritrovare alterazioni metaboliche come ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia ed iperuricemia. In quest’ultimo caso può richiedersi la diagnosi differenziale nei confronti della gotta, che può essere anch’essa presente nei pazienti con psoriasi. L’esame del liquido sinoviale è allora assai importante per escludere la presenza dei classici cristalli di urato monosodico, caratteristici della gotta, che può associarsi od entrare in diagnosi differenziale con l’AP. Va comunque sottolineato che l’associazione AP e Gotta, non è infrequente.
Della tipizzazione HLA abbiamo già detto, specificando che il suo utilizzo ai fini diagnostici è indicato solo in casi particolari. Giova ricordare che la presenza di psoriasi e/o di familiarità di primo o secondo grado è un indice di predisposizione genetica ben più rilevante e significativo rispetto all’HLA.
Aspetti radiografici
Gli aspetti radiografici caratteristici dell’AR sono molteplici, talvolta generici e riferibili allo stato di artrite ed altri caratteristici o addirittura patognomonici. Si consideri che negli ultimi anni, al fianco della classica radiografia tradizionale, sono diventate sempre più utilizzate alcune metodiche molto più sensibili, quali la risonanza magnetica nucleare (RMN) e l’ecografia. In particolare quest’ultima è eseguita spesso in ambito reumatologico, consentendo di effettuare valutazioni anche in fase precoce.
In generale, si tratta di forme a evoluzione più favorevole rispetto all’AR o alla SA, con una maggiore alternanza di periodi di benessere rispetto alle crisi. Ma, nonostante ciò, l’AP rappresenta una causa importante di alterazione della qualità di vita e di danni socio-economici nella popolazione affetta. Va tenuto conto che molti soggetti con AP sono in piena età lavorativa, per cui i riflessi sulle assenze dal lavoro o sulla scarsa produttività si traducono in autentici drammi sociali che hanno poi rilevanti riflessi affettivi. Come per altre malattie articolari, la definizione della scelta terapeutica deve quindi tener conto attentamente anche di questi aspetti.
Se l’AP viene presa in tempo e trattata adeguatamente, può andare anche in remissione completa in una percentuale non trascurabile di casi.
Come per tutte le malattie muscolo-scheletriche, il trattamento dell’AP prevede una terapia non farmacologica ed una farmacologica. Il loro impiego va modulato adeguatamente, per non forzare le articolazioni od i tendini quando sono in fase di attività di malattia e, d’altro canto, la terapia non farmacologica va accuratamente consigliata anche quando i farmaci sembrano di per sé sufficienti a risolvere i sintomi.
Terapia farmacologica
I farmaci che si adoperano nell’AP non si discostano molto da quelli che si usano per l’AR, che si dividono quindi in: farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), cortisonici, farmaci di fondo detti anche DMARD (Disease Modifying Anti-Rheumatic Drugs) e farmaci biologici anti-citochine. Cambia invece la modalità del loro utilizzo.
I FANS sono largamente adoperati nell’AP e sono talora da soli sufficienti a controllare la malattia; generalmente sono preferiti gli anti-COX2, anche perché meno gastrolesivi e testati in alcuni studi specifici. Tuttavia, in caso di persistente tumefazione è utile il ricorso agli steroidi per via intrarticolare o sistemica. Gli steroidi nella fase acuta possono risultare utili per impedire l’instaurarsi di erosioni, che compromettono il benessere nelle fasi di remissione. In generale non è necessario superare i 10 mg/die di prednisone o equivalenti. Questo orientamento va sottolineato specie di fronte a riaccensioni che si autolimitano, per le quali si tende a credere, soprattutto inizialmente, che non siano particolarmente lesive.
Le forme più resistenti, laddove è necessario l’impiego di farmaci steroidei in modo continuativo, richiedono anche i farmaci di fondo (DMARD). I più indicati sono la sulfasalazina, la leflunomide e, soprattutto, il methotrexate. Questi farmaci, che possono anche essere adoperati in associazione, sono in grado di agire anche sulla psoriasi cutanea. Va sottolineato che tutti questi DMARD sono efficaci sulle varietà di AP che colpiscono le articolazioni periferiche, ma si rivelano meno utili nelle forme assiali ed entesitiche. Nei pazienti refrattari alle terapie tradizionali si può far ricorso ai nuovi farmaci biologici, che invece risultano molto efficaci. Tuttavia, si tratta di farmaci particolarmente costosi e con alcune importanti precauzioni d’impiego. Per cui, sia le società scientifiche che le autorità regolatorie, a livello italiano ma anche internazionale, hanno elaborato delle raccomandazioni che prevedono il loro impiego a seconda della forma prevalente di AP artrite periferica, spondilite o entesite.
Terapia non farmacologica
Come per altre malattie, anche per l’AP l’informazione e l’educazione del paziente rappresentano elementi di base essenziali per un corretto approccio al programma terapeutico. Vi sono numerosi aspetti che vanno condivisi con il paziente, che ricordiamo è in genere giovane ed in piena attività lavorativa. Infatti, egli deve essere informato sulle possibili comorbidità e sullo stile di vita preferibile per evitarle, ma anche sulle possibile interazioni con farmaci. Il paziente va adeguatamente considerato anche per alcuni aspetti inerenti la sfera psichica, visto la notevole prevalenza di depressione nei soggetti con psoriasi, soprattutto se associata ad AP.
Va ricordato che l’AP fa parte delle SpA e, come tale, richiede un’attenta valutazione ai fini di un trattamento costante con terapia fisica e riabilitativa. Il mantenimento di un’attività fisica costante è elemento fondamentale per prevenire sia alcune comorbidità che, in modo più specifico, alcuni aspetti legati alla malattia articolare e soprattutto entesitica, quali la rigidità, l’impaccio dei movimenti, l’osteoporosi, le rotture tendinee, ecc.
Da preferire sono la marcia (intesa anche per il solo camminare), il nuoto, e in genere attività tipo “stretching”. Per le attività sportive conviene rivolgersi agli specialisti di riferimento.
L’impiego delle terapie fisiche deve essere appropriatamente valutato, tenendo conto che in generale il calore è utile per ridurre la rigidità, mentre molte altre terapie fisiche non dispongono di sufficiente evidenza. Non va accettato di abbandonare questi pazienti nelle mani di personale poco esperto e spesso con attitudini da ciarlatano, e disinteressandosene solo perché molte di queste cure non sono rimborsate dal Sistema Sanitario Nazionale.
Un esempio istruttivo è rappresentato dalla terapia termale, che con un approccio specialistico multidisciplinare in un ambiente seriamente organizzato, ha dimostrato di essere particolarmente utile. In mancanza di queste condizioni può invece rivelarsi addirittura controproducente.
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