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Artrite reumatoide

Che cos’è l’Artrite Reumatoide

L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria cronica di origine autoimmune che colpisce elettivamente le articolazioni, ma che può interessare anche altre parti dell’organismo, per cui viene definita malattia sistemica.

L’AR può colpire potenzialmente qualsiasi articolazione dell’organismo, ma le più frequenti localizzazioni sono a mani, polsi, piedi, ginocchia, spalle, di solito in modo simmetrico. L’infiammazione provoca l’ispessimento del tessuto che riveste l’interno delle articolazioni (membrana sinoviale), con conseguente gonfiore (tumefazione) e dolore all’interno e attorno alle articolazioni. Oltre alla tumefazione, l’articolazione presenta altri segni classici dell’infiammazione, ovvero dolore, calore e rossore. Il dolore è sia spontaneo che provocato, ad esempio, dal tatto o dalla pressione sulla zona (dolorabilità).  Se l’infiammazione non viene controllata, tutti i tessuti articolari possono essere danneggiati, in particolare cartilagine ed osso, portando progressivamente le articolazioni a diventare instabili, dolorose e a perdere la loro mobilità. Può anche verificarsi deformità articolare.

Va anche precisato che, una volta instaurati, i danni articolari non sono reversibili, ma in compenso possono essere bloccati molto efficacemente. Poiché questi danni possono verificarsi precocemente, i medici raccomandano una diagnosi precoce e un trattamento tempestivo per ridurre i sintomi e bloccare l’evoluzione dell’AR. In questo contesto va sottolineato che i farmaci attualmente a nostra disposizione sono estremamente efficaci e ben tollerati e solo pochi pazienti non rispondono alle terapie farmacologiche.

L’AR è considerata anche malattia sistemica, poiché può presentare molte manifestazioni extra-articolari, variabili per severità e localizzazione, in particolare a livello di osso (con osteoporosi generalizzata), occhio, polmone e, più raramente, cuore e vasi.


Chi è colpito dall’AR?

L’AR è diffusa praticamente in tutto il mondo, senza distinzioni di latitudini o popolazioni, con frequenze e gravità che variano di poco, dallo 0,5 all’1% della popolazione. Nel Veneto si stima che circa lo 0.5% della popolazione adulta risulta affetta da AR, con maggior frequenza nel sesso femminile (3-4 volte superiore rispetto ai maschi) e con una fascia di maggior insorgenza fra 30-50 anni. Nei Paesi del Nord Europa e negli USA la frequenza sembra maggiore (all’incirca l’1% della popolazione). L’AR può colpire anche i bambini e gli anziani, a dimostrazione che nessuna fascia di età può essere considerata senza rischio.

Cause

La causa dell’AR non è ancora del tutto chiara, anche se la risposta anormale del sistema immunitario gioca un ruolo di primo piano nell’infiammazione e nel successivo danno articolare. Come in molte altre malattie autoimmuni, anche nell’AR si ritrova spesso la combinazione di suscettibilità genetica su cui agisce un evento scatenante, non sempre identificato. Gli ormoni fungono spesso da sensibilizzatori del sistema, come dimostra il fatto che, come per altre malattie autoimmuni, ne siano più colpite le donne.

L’autoimmunità

L’AR fa parte dell’ampia schiera di malattie autoimmuni riscontrabili in Reumatologia. Il concetto di autoimmunità fa riferimento ad una disfunzione del sistema immunitario che dà origine a risposte immuni anomale che, anziché reagire solo verso elementi estranei all’organismo (generalmente mediante anticorpi), agiscono contro componenti dell’organismo stesso, determinando un danno al suo funzionamento. A riprova di ciò, nelle malattie autoimmuni ritroviamo nel sangue degli anticorpi diretti contro componenti stessi dell’organismo, detti auto-anticorpi. Questi vengono utilizzati a scopo diagnostico, anche perché hanno una specificità differente a seconda della malattia. Nell’AR, gli autoanticorpi più frequentemente riscontrati sono il fattore reumatoide e gli anticorpi anti-peptide citrullinato (anti-CCP).

Fattori genetici

L’AR non è una malattia ereditaria, ma è spesso associata ad una predisposizione genetica. Ciò è osservabile per molte malattie autoimmuni. Tra i fattori genetici predisponenti ve ne sono molti, ma i più noti sono quelli legati all’HLA (Human Leukocyte Antigen), una tipizzazione nata per studiare il rigetto ai trapianti. Successivamente, è stata riscontrata un’associazione più o meno forte di certi tipi di HLA con alcune malattie reumatiche. Nel caso dell’AR gli antigeni più frequentemente associati sono l’HLA-DRB1*01 o l’HLA-DRB1*04. Tuttavia, è bene specificare che, data la frequenza di questi antigeni nella popolazione, non tutte le persone che li posseggono è o sarà mai affetta da AR mentre, in contrasto, ci sono molti pazienti con AR che non sono portatori di questo tipo di predisposizione. I progressi scientifici ci offrono continuamente altri elementi di predisposizione. Quindi, in generale possiamo affermare che, come per altre malattie, non basta la predisposizione genetica da sola perché si produca una malattia.

Fattori scatenanti

I fattori più rilevanti capaci di provocare o aggravare l’AR possono essere varie e talvolta associati fra di loro. Tra questi: agenti infettivi come batteri o virus (fra questi recentemente è stata individuata l’infezione cronica da Porphyromonas gengivalis, associata alle paradontiti); ormoni femminili (il 70% delle persone con AR sono donne); obesità; eventi stressanti come traumi fisici o emotivi; fattori ambientali come fumo di sigaretta, inquinamento atmosferico, insetticidi ed esposizione professionale a oli minerali e silice.

Sintomi

All’esordio, l’AR nella maggior parte casi si manifesta in maniera graduale con dolori articolari (artralgie) accompagnati o meno da rigidità mattutina prolungata, cui segue nel giro di settimane la comparsa di segni di infiammazione articolare, in particolare tumefazione (gonfiore). Nel 15% dei casi l’esordio è acuto e improvviso e si sviluppa in pochi giorni.

Di seguito alcuni tra i sintomi più comuni che i medici ritengono indicativi di AR:

  • Dolori alle articolazioni, dolorabilità, tumefazione (gonfiore) o rigidità da più di sei settimane
  • Rigidità mattutina maggiore di 30 minuti
  • Interessamento di più articolazioni
  • Interessamento delle piccole articolazioni (polsi, alcune articolazioni delle mani e dei piedi), su entrambi i lati del corpo (simmetrico)
  • affaticamento, perdita di appetito e febbricola

L’AR può talvolta interessare altri organi e sistemi corporei quali:

  • Occhi: con secchezza, sensazione di sabbia negli occhi, dolore, arrossamento, sensibilità alla luce
  • Osso: osteoporosi sia locale (a livello delle ossa delle articolazioni interessate dalla malattia) che generalizzata (dovuta in parte allo scarso movimento ed in parte ad un minor assorbimento di calcio)
  • Polmoni: con pleurite e fibrosi polmonare (noduli polmonari)
  • Cuore: con pericardite
  • Sistema nervoso: con manifestazioni a livello del sistema nervoso periferico (neuropatie)
  • Cute: formazione di noduli (reumatoidi) sottocutanei sulle superfici estensorie

Diagnosi

Non vi è un test o un esame unico che permetta di fare una diagnosi di certezza dell’AR.

Per cui, per una diagnosi corretta, sono necessarie informazioni sulla storia medica personale e familiare, esami fisici e test diagnostici.

Visita medica

Durante la visita il Reumatologo chiede informazioni (anamnesi) sulle caratteristiche delle manifestazioni e sulla familiarità, prima di passare all’esame fisico (obiettivo). L’esame comprende l’osservazione di ogni articolazione e la ricerca di sensibilità, gonfiore, calore e dolore e/o limitazione al movimento. L’esame fisico serva anche a rilevare segni di impegno sistemico come i noduli reumatoidi o manifestazioni extra-articolari.

Analisi del sangue

Sulla base delle informazioni ricavate dalla visita, il medico può richiedere degli esami del sangue, alcuni dei quali servono per approfondire l’iter diagnostico, altri per verificare lo stato generale della persona, necessari per iniziare la terapia. Tra gli esami più richiesti a scopo diagnostico, vi sono il fattore reumatoide (FR) e gli anticorpi anti-peptide citrullinato (anti-CCP) che sono presenti nel 60% circa dei pazienti con AR. Gli anticorpi anti-CCP sono più specifici per l’AR (vuol dire che raramente si riscontrano in soggetti sani), anche se possono ritrovarsi nel 10% dei pazienti con artrite psoriasica. Invece, il FR è meno specifico, visto che è presente anche in condizioni diverse dall’AR, quali epatite od altre malattie autoimmuni (in questi casi si parla di falsa positività). Va comunque sottolineato che il 30-40% dei pazienti con AR non presenta né anti-CCP né FR, per cui la diagnosi rimane soprattutto clinica e basata su un insieme di elementi che il medico valuta. Fra questi, vi sono gli indici di infiammazione nel sangue (VES e PCR) che rappresentano anche indici di attività di malattia,  utili quindi sia per la diagnosi che per seguire l’andamento della malattia in risposta alle terapie.

Radiologia

Le radiografie possono essere molto utili dal punto di vista diagnostico e per la valutazione dell’aggressività dell’AR perché mettono in evidenza le erosioni articolari, che sono il marker più rilevante di valutazione di malattia. Tuttavia, ci vuole un certo tempo perché si producano e, soprattutto in fase precoce, possono essere assenti, per cui si utilizzano metodiche più sensibili quali l’ecografia o la risonanza magnetica. Queste indagini possono essere utili anche ad individuare l’interessamento di tendini (tendiniti o tenosinoviti) e ligamenti.

Trattamento

La terapia dell’AR ha cinque obiettivi principali:

  1. Ridurre l’intensità del dolore riducendo o spegnendo l’infiammazione
  2. Bloccare il processo distruttivo delle articolazioni
  3. Recuperare la funzione articolare
  4. Ridurre o bloccare le comorbidità
  5. Migliorare la qualità di vita del paziente

 

Terapia farmacologica

Per combattere il dolore (infiammatorio) dell’AR, i più indicati sono i farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) e i farmaci steroidei (cortisone). Nei pazienti che non possono assumerli per intolleranza o per possibile interazioni con altre categorie di farmaci, si può far ricorso ai farmaci analgesici, in particolare paracetamolo, in dosi fino a 3 grammi (3000 milligrammi) al giorno, associato o meno ad oppiacei deboli quali ad esempio la codeina.

Questi farmaci, con l’eccezione del cortisone, sono però inefficaci nel ridurre l’aggressività della malattia e nel modificarne il decorso. Per questo, si fa ricorso, appena la diagnosi sia stata definita, ai farmaci capaci di modificare la malattia, i cosiddetti DMARDs (Disease Modifying Anti-Rheumatic Drugs).

Fra questi, nelle forme lievi si adopera l’idrossiclorochina (un farmaco antimalarico) o la sulfasalazina. Nelle altre forme il più adoperato è il methotrexate; in caso di intolleranza o scarsa efficacia si può impiegare la leflunomide. L’azatioprina o la ciclosporina A vengono riservate a casi particolari e sono ormai di raro impiego. Nei pazienti che non abbiano risposto ai DMARDs tradizionali, si fa ricorso ai cosiddetti farmaci biologici, che sono diretti contro alcune proteine chiave dell’infiammazione o specifiche molecole collegate con l’attività cellulare. Va precisato che questi farmaci si aggiungono ai DMARDs e non li sostituiscono, se non in casi selezionati. Nel capitolo specifico si dettaglieranno maggiormente i meccanismi d’azione di queste sostanze. Per il momento è bene precisare che, come tutti gli altri DMARDs, essi necessitano di controlli periodici per escludere effetti indesiderati non visibili (a livello del sangue) e che, data l’ampia disponibilità di farmaci che i notevoli progressi della ricerca ci hanno messo a disposizione, solo pochi pazienti non rispondono alla terapia. A condizione ovviamente di eseguirla in modo corretto.

Per ciò che concerne le possibili comorbidità, è possibile avviare una terapia a scopo profilattico per impedirne l’insorgenza o l’evoluzione.

 

Terapia non farmacologica

Anche se non sostitutiva della terapia farmacologica, come alcuni vogliono credere o far credere, essa è fondamentale per migliorare lo stato fisico e l’evoluzione della malattia, permettendo di ottenere più rapidamente un miglioramento della qualità di vita.

In questo contesto la collaborazione fra Reumatologi, Fisiatri e Fisioterapisti può produrre risultati sorprendentemente efficaci, anche servendosi, ma solo se utilizzate in modo corretto ed appropriato, di alcune terapie fisiche quali le cure termali, di cui il nostro Paese è particolarmente dotato.

Molto utile è anche il supporto Psicologico, effettuato da esperti del settore, se ne viene ravvisata la necessità.

Infine, non bisogna dimenticare l’utilità delle associazioni malati o di volontariato in genere che spesso forniscono strumenti adeguati ed altrimenti non disponibili, soprattutto di tipo informativo.

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