Eletto doge il 12 maggio 1462, non aveva un bell’aspetto, di fisico infelice e guercio, era dotato però di grande cultura e di fine scaltrezza politica; molto religioso, si narra che da giovane avesse rifiutato una monaca innamorata di lui venendo miracolosamente ricompensato dal cenno del capo di una statua in legno del Cristo. Secondo le parole di un cronista contemporaneo: “Non era bon salvo che star coi frati” e morì malvoluto dal popolo con pessima fama di tristo, ipocrita, vendicativo e avaro, eppure si mostrò molto zelante nell’amministrazione degli incarichi pubblici. Durante il suo dogado, Venezia dichiarò guerra a Maometto II dando inizio ad un conflitto con i Turchi che si sarebbe trascinato per sedici anni causando molte perdite umane e territoriali. La Lega con il Papato e il Ducato di Borgogna offre al Moro la possibilità di pronunciare in Maggior Consiglio un commuovente e nobile discorso in favore della partecipazione veneziana alla crociata. Ma quando la Signoria decide che sia proprio lui, in prima persona, a prendere il comando dell’impresa, cerca di sottrarsi alla partenza adducendo la tarda età, la malferma salute, in particolare I REUMATISMI E LA GOTTA, la mancanza di un occhio, oltre che l’inesperienza in campo navale. Ma, all’epoca, il bene dello Stato era più importante di quello personale e il doge fu costretto ad imbarcarsi per Ancona dove lo attendeva Pio II che, però, morì dopo pochi giorni offrendo al veneziano la provvidenziale occasione di rimpatriare alla svelta, tanto più che la campagna militare stava andando male.
Drammatica la resa di Negroponte assediata dalla flotta ottomana e il tristemente noto martirio di Paolo Erizzo come di altri suoi luogotenenti. La notizia della disfatta fu accolta in città da mestizia generale e da un crescente risentimento di cui si fece interprete il cospiratore Bartolomeo Memmo che non ebbe ritegno a dire: “Vegnimo diese a consejo domenegche vien e le corazzine sotto la veste e a amazzemoli comenzando da questo becco de Cristofol Moro”. In realtà è probabile che la moglie Cristina Sanudo fosse semplicemente una persona più allegra del consorte, che comunque, l’aveva sempre stimata e tenuta in alta considerazione.
Cristoforo Moro, nonostante i molti acciacchi, morì alla venerabile età per l’epoca di ottantun anni e riposa nella Chiesa di San Giobbe di fronte all’altare di Bernardino da Siena, suo intimo amico e ospite per un periodo dell’annesso convento. Dopo la canonizzazione del predicatore toscano, il doge dedicò ingenti capitali per restaurare il monastero e completare la chiesa che ancor oggi possiamo ammirare nel sestiere di Cannaregio.