Al Molin seguirono due dogi di breve durata, Carlo Contarini 13 mesi e Francesco Corner solo 19 giorni; poi, il 15 giugno 1656, l’elezione di Bertucci Valier, un altro illustre malato di GOTTA.
La sua famiglia, fra le più antiche di Venezia, secondo alcuni discendente addirittura dalla romana gens Valeria, possedeva notevoli sostanze tra cui uno splendido palazzo al ponte di S. Giobbe, ora non più esistente, noto per avere il salone più spazioso della città.
Dopo aver percorso una brillante carriera militare e politica, rifiutò la nomina a Procuratore di San Marco ritenendola ormai svalutata in quanto conferita per denaro spesso a personaggi di scarso valore, considerazione che, però, non gli impedì più tardi, di pagare ben 20500 ducati perché ne fosse insignito il figlio Silvestro.
Di modi cortesi e sempre molto generoso in tutte le missioni pubbliche, quando fu in predicato di diventare doge, il popolo, lo sostenne senza indugi:
De vu bisogna dir la verità
che più d’ogni altro meritè st’honor
perché, se ben non sé procurator,
sé la reputation della città.
Una volta nominato, fu costretto a rinviare l’ingresso a Palazzo Ducale e persino il ricco lancio di monete alla folla nel tradizionale giro di San Marco in pozzetto. Infatti, quando il Cancelliere Grande andò a consegnargli il berretto dogale, lo trovò bloccato a letto in preda ai dolori della GOTTA che lo perseguitò per tutto il mandato, limitando spesso la sua mobilità. Da ricordare di questi due anni le imprese ai Dardanelli dei capitani Lorenzo Marcello e Lazzaro Mocenigo che persero la vita nel tentativo di imporre ai Turchi una resa incondizionata. Dal canto suo Bertucci Valier avrebbe accettato le offerte di pace del Sultano che esigevano la cessione di Candia ma, quando il Senato decise la prosecuzione ad oltranza della lotta, vi aderì subito offrendo alla patria parecchi denari.
Altri lo imitarono ma le donazioni non furono sufficienti a riportare in pareggio un bilancio sempre più dissanguato dalle guerre e, così, Venezia finì per accettare la concessione di alcuni beni ecclesiastici offerti da Alessandro VII. Fra questi, il complesso dei Crociferi venduto poi ai Gesuiti per cinquantamila ducati, con l’amara riammissione nei territori della Repubblica di quest’ordine religioso espulso 50 anni prima e un significativo arretramento nella politica di indipendenza e di laicità che aveva sempre contraddistinto lo Stato lagunare.
Nel frattempo il nostro tirava avanti con la sua gotta fino a che una malattia polmonare lo fece passare a miglior vita il 29 marzo 1658; le sue ossa riposano nel sepolcro barocco fatto erigere dal figlio nella Chiesa dei SS. Giovanni e Paolo.